Originario del Kansas, nel 1970 Gilbert si trasferì a San Francisco dove prestò servizio militare per due anni. Terminata l’esperienza civile, nel ’72 cominciò a muovere i primi passi come attivista nella comunità gay che in quegli anni animava il quartiere Castro dedicandosi alla realizzazione di striscioni e stendardi per le marce che si svolgevano nella città. È in quegli anni che conobbe l’attivista gay Harvey Milk, il quale, nell’Aprile del ’78, lo esortò a realizzare un simbolo che racchiudesse in sé tutte le diverse realtà che componevano il movimento omosessuale americano di quegli anni. “Fino a quel momento – racconta Baker – l’unico simbolo che veniva utilizzato per rappresentarci era il triangolo rosa usato dai Nazisti nei campi di concentramento. Cercavo qualcosa che portasse un messaggio di speranza”.
Negli anni successivi cercò di diffondere il più possibile il suo lavoro in America realizzando una versione personalizzata per ognuno dei 50 membri degli Stati Uniti. A causa della chiusura della Paramount Flag Company, Baker accantonò la produzione commerciale delle bandiere rainbow e si trasferì a New York dove cominciò a progettare nuovi metodi per diffondere l’arcobaleno che aveva ideato creando installazioni sempre più imponenti. Per commemorare il 25° anniversario dei moti di Stonewall nel 1994, ad esempio, ricreò una versione a otto colori della bandiera rainbow di circa due chilometri sorretta da cinquemila persone. Nel 2003 ne realizzò una che si estendeva dal Golfo del Messico all’Oceano Atlantico, continuando così fino alla sua scomparsa, lo scorso 20 Marzo, cercando nuovi modi per diffondere quel simbolo diventato “uno strumento di coesione e una dichiarazione d’orgoglio per il nostro movimento” e mentre ci tingiamo dei colori che più ci rappresentano conserviamo il ricordo di chi ha iniziato la rivoluzione rainbow.
Rest in Pride, Gilbert.
Perseguitaci