Il racconto che state per leggere non è una fiaba horror, ma una storia vera, emblematica della realtà LGBT+ di un passato anagraficamente nemmeno troppo lontano.

Siamo nel 1964, ci sono due uomini innamorati che convivono nella camera ammobiliata di una pensioncina romana. Uno, il più giovane, si chiama Giovanni Sanfratello, ha da anni problemi con la famiglia di origine, che non accetta il suo desiderio di diventare un pittore, né nient’altro di lui. L’altro, Aldo Braibanti, una ventina d’anni più grande, è un ex partigiano combattente, un marxista libertario e anarcoide, uno scrittore e poeta dai mille interessi, persino lo studio delle formiche. Un’incarnazione del diavolo, per quei tempi.  Sono emiliani, ma due anni prima hanno deciso di spostarsi a Roma per allontanarsi dalle pressioni della famiglia di Giovanni. La famiglia, però, non demorde: il 12 ottobre 1964 denuncia Aldo per plagio, reato che oggi non esiste più. Il primo novembre, il padre e altri familiari irrompono nella loro stanza e di fatto rapiscono il giovane, depositandolo in una clinica per malattie nervose a Modena. Pochi mesi dopo viene trasferito a Verona, dove subisce quaranta elettroshock e otto shock insulinici. Dopo quindici mesi viene finalmente dimesso, con una serie di regole deliranti, tra cui non uscire dalla casa dei genitori per almeno tre mesi, non avere mai più contatti con gli “amici” di prima, non leggere libri che avessero meno di cent’anni.

Ma chi finirà nel vortice di una caccia alle streghe fuori tempo massimo è Aldo Braibanti. La famiglia Sanfratello riesce a trovare un testimone prezzolato, Pier Carlo Toscani, giovane elettricista che aveva avuto una breve relazione con Aldo nel 1960.

Nel 1968 si arriva al processo, che viene vissuto dalla pubblica accusa come un baluardo contro il degrado dei valori tradizionali. Viene trasformato, in sostanza, in un processo all’omosessualità, non punita per legge. Viene chiesta una pena esemplare e Braibanti, nonostante la mobilitazione di molti intellettuali in sua difesa, viene condannato a nove anni di carcere. Nemmeno durante il fascismo era mai stato condannato qualcuno in via definitiva per plagio.

Certo, il movimento LGBT+ italiano ha mille difetti, molta frammentazione e zero strategia. Certo, è vero che i diritti non ce li abbiamo e siamo all’inizio del 2015. Ma, tra piccole e grandi miopie a esso imputabili, quest’armata Brancaleone un grande risultato l’ha ottenuto: il cambiamento profondo della percezione sociale dell’omosessualità. Non che oggi si viva in una Disneyland LGBT+, la strada da fare è ancora tantissima, ma la differenza rispetto al passato è enorme. Tanto da farne sembrare alcuni episodi un incubo oscurantista degno dell’Inquisizione.

pubblicato sul numero 1 della Falla – gennaio 2015