Dalla 164 al ddl 405
di Antonia Caruso
Dal nome, il ddl 405 sembrerebbe un nuovo modello di aspirapolvere intelligente, in realtà potrebbe essere l’ancora di salvezza per molte persone trans e intersex in Italia. Un’ancora forse un po’ arrugginita, per l’evoluzione delle pur sempre meste vicende giuridiche italiane e a causa di alcuni nei; al momento, però, sicuramente l’unico strumento che abbiamo tra le mani. Il disegno di legge non rappresenta il migliore dei mondi possibili, dunque, ma solo una sua versione piuttosto approssimativa che, tuttavia, andrebbe a sostituire l’ossidata legge 164 del 1982, anch’essa imperfetta ma assolutamente necessaria.
Il decreto in questione autorizza il cambio dei documenti senza operazione chirurgica per le persone trans e (novità assoluta!) contempla sia i minori, in quanto soggetti potenzialmente in transizione, sia l’esistenza legale e l’autodeterminazione delle persone intersex. Quest’ultimo è un dato particolarmente significativo perché impedisce che venga eseguita una riassegnazione chirurgica coatta, subito dopo la nascita, per adeguare i genitali a uno dei due sessi. E a proposito di autodeterminazione, le persone intersessuali non vengono appellate in nessun modo nel decreto, se non con la formula burocratica “chi alla nascita presenta condizioni congenite nelle quali lo sviluppo del sesso cromosomico, gonadico o anatomico è atipico”. Vi sarebbe, quindi, un allineamento con quelle richieste di cambio nome o cognome “ridicolo o vergognoso” (come previsto dal DPR 396) presso la prefettura, che in questi casi deve decidere se la richiesta sia davvero “meritoria” di essere accolta. Ancora una volta, tuttavia, la richiesta per il cambio dei documenti, dev’essere accompagnata a una relazione psicodiagnostica per cui una qualche istanza esterna medicalizzante, burocratica (e non solo), deve valutare l’adeguatezza di una persona ad uno standard di genere.
È vero che quella del ddl 405 è una proposta che risale al 2013, presentata dal senatore Sergio Lo Giudice (curiosamente nello stesso anno e mese in cui un ddl praticamente identico viene presentato dal senatore Alberto Airola del M5S), quindi prima delle Unioni Civili e soprattutto prima della sentenza della Corte Costituzionale del luglio 2015. Una sentenza che sancisce la non obbligatorietà dell’intervento di riassegnazione chirurgica al fine di ottenere il cambio dei documenti, in quanto potrebbe non solo essere inutile ma addirittura in alcuni casi peggiorare il benessere psicofisico della persona in transizione. Essa si fonda su svariati articoli della Costituzione, compreso il 32 che recita: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”, interpretabile come la possibilità di poter transizionare senza ormoni. Di fatto, al momento la legge è sempre quella, cioè la 164, e un giudice può rifiutarsi di accogliere la richieste di cambio documenti e quindi se la pijamo in saccoccia come sempre. Diciamolo chiaramente, almeno secondo la legge vigente, la preoccupazione dello Stato è la nostra sterilità e relativa impossibilità di procreazione. Non possiamo avere figli per non rischiare di causare dei paradossi giuridici tali da far implodere l’universo tutto.
Ma se la Corte Costituzionale è così solerte nel preservare il nostro raggiunto benessere psicofisico come fosse un bocciolo di ibisco, allo stesso modo dovrebbe poter includere anche un virgulto di famiglia e affettività. Come persone trans, siamo impigliate nelle reti della burocrazia come copertoni agguantati durante una pesca a strascico. Abbiamo bisogno di assistenza medica ma non siamo malate; in nome dell’autodeterminazione abbiamo bisogno di avvocati, giudici, psichiatri, perizie e controperizie. In assenza del ddl 405 è il paradosso del Comma 22 che guida le nostre vite. Ed è per questo che un simile disegno di legge deve essere approvato al più presto, contro tutte le lentezze parlamentari, contro tutti i Comma 22.
pubblicato sul numero 25 della Falla – Maggio 2017
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