Il tutorial di Bourdieu per la costruzione del corpo

Virginia Woolf affermava che le società sono congiure, riferendosi all’insieme di norme naturalizzate che si manifestano nelle dinamiche di potere poste a struttura del mondo. È con questa citazione che si apre Il dominio maschile, opera di Bourdieu che riassume buona parte dei risultati delle sue ricerche. Attraverso un uso particolare dell’etnologia, Pierre Bourdieu riesce a oggettivare con metodo scientifico «l’operazione propriamente mistica» che ha come prodotti la divisione e la gerarchizzazione dei sessi, realizzando un’archeologia del nostro inconscio. Habitus, ovvero «sistemi di disposizioni durature e trasmissibili, strutture strutturate predisposte a funzionare come strutture strutturanti, cioè in quanto principi generatori e organizzatori di pratiche»: è così che l’accademico francese definisce gli atteggiamenti incorporati che regolano la vita sociale. 

Studioso fra i più importanti del secondo novecento, di cui ricorrono quest’anno i vent’anni dalla morte, il sociologo, filosofo eclettico e antropologo smonta il concetto di natura, per delegittimare attraverso la scienza chi nella scienza trova un’arma della morale e del determinismo. Negli stessi anni in cui Michel Foucault spopola fra gli accademici con le teorie sulla biopolitica e Judith Butler si prepara a offrire il suo linguaggio filosofico al femminismo, Bourdieu riscrive con toni scientifici la fiaba del re nudo: le persone credono di poter distinguere la propria natura, ma non si accorgono che questa consiste proprio nell’essere una struttura artificiale, alimentata e legittimata dalla sua narrazione di attributo innato. Il re non sa di essere nudo, le persone non sanno di essere vestite. Il corpo si costruisce e prende forma: la corporeità non è un suo attributo congenito. Sappiamo camminare e ricordiamo di averlo appreso, mentre il corpo non ricorda di aver imparato a essere un corpo e non sa che continua a impararlo assimilando stimoli esterni. Butler parla di performatività: esistere è una performance, siamo attori di noi stessi, abbiamo una parte che non sappiamo di aver memorizzato – e di cui dunque spesso ignoriamo di poter cambiare le battute. È così che le differenze fra i corpi diventano vettori di disuguaglianze.

Figli della dicotomia cartesiana, ci viene già difficile pensare un soggetto che non sia spezzato fra mente e corpo. Bourdieu fa un passo ulteriore quando afferma che noi siamo corpi e i corpi sono menti manipolabili, decostruendo l’arena riproduttiva in cui il genere è una pratica in continuo posizionamento. Si dedica a una ricerca etnografica in Algeria, dove studia le strutture androcentriche dei cabili, esempio paradigmatico della tradizione mediterranea, e mette in luce come l’appartenenza di genere sia in realtà la messa in atto di un cerimoniale costante. Il lavoro di costruzione simbolica dei generi non si limita a un’operazione performativa e di rappresentazione, ma impone una definizione degli usi legittimi del corpo, quelli sessuali in particolare. La leva che avalla i meccanismi di riproduzione delle gerarchie sociali è la violenza simbolica, che si istituisce tramite l’adesione che il dominato non può non accordare al dominante: gli atti di conoscenza diventano atti di riconoscenza e sottomissione, perché mediati da categorie di apprendimento condivise. Le percezioni sono predisposte in modo da essere conformi alle strutture stesse del rapporto di dominio che subiscono. Il corpo è in costante attività comunicativa, non può non dire niente, mentre le modalità attraverso cui apprende il ruolo che deve ricoprire sono messe a tacere da un presunto innatismo.

La prima caratteristica che ricerchiamo guardando un corpo è il suo genere d’appartenenza, creando così genitali culturali basati su caratteristiche che crediamo di associare in modo naturale a una categoria altrettanto naturale. La distinzione sessuale è determinata invece da una costruzione discorsiva del corpo sessuato, simultanea all’atto della sua percezione sociale. Bourdieu dimostra che siamo portati a pensare al corpo come alla realizzazione di un amor fati, un destino incontrovertibile che è in realtà un processo di ritualizzazione del corpo, dove ci appropriamo di attributi che non sono insiti in noi, ma impariamo a percepire come sostanziali: interpretiamo un corpo. 

La costruzione sociale degli organi sessuali registra e ratifica simbolicamente proprietà naturali indiscutibili, che trasformano l’arbitrario delle costruzioni sociali in necessità di natura.

Immagine nel testo da wikimedia.org, losbuffo.com e wordpress.com