Scrivo questo pezzo a poche ore dall’annuncio dell’accordo di pace tra il governo Israeliano e Hamas. 

I governi esultano, in primis quello USA, e la mancata assegnazione del Nobel della Pace a Donald Trump suscita scandalo- anche se il nome prescelto non si discosta molto dalle politiche economiche del presidente statunitense. Non li capisco. Comprendo, invece, i festeggiamenti della popolazione gazawi all’annuncio, dopo due anni di fame e massacri: una tregua dal genocidio perpretato da Israele.

Rimango attonito perché sembra passato un secolo, ma sono trascorsi solo otto mesi dall’annuncio di un accordo di pace tra gennaio e marzo. Anzi, da quella che si è poi rivelata solo una tregua, gli attacchi dell’IDF sono aumentati e i coloni in Cisgiordania sono diventati ancora più aggressivi. Le manifestazioni per denunciare il genocidio e l’apertheid nei confronti della popolazione palestinese sono invece aumentate, cresciute dopo mesi di omertà mediatica e istituzionale, fino a quelle di pochi giorni fa che hanno portato milioni di persone per le strade di molte città nel mondo e in Italia per supportare la Global Sumud Flotilla. 

Un movimento ampio, trasversale, che non può smettere di reclamare la fine del genocidio e dell’invasione israeliana. Perché i venti punti di quel piano non possono abbassare lo stato di allerta su quell’area del mondo: non si citano i territori occupati dai coloni; la ricostruzione è in mano all’occidente; l’impostazione è capitalistica; si parla di organi apolitici per gestire la transizione, come se l’organizzazione e la gestione di un paese potesse esserlo – impossibile, se il nostro presupposto è che un corpo è già di per sé politico.  

Un movimento che non può nemmeno rinunciare alle sue anime più radicali e seguire le sirene moraliste che si sono sentite in questi giorni: i distinguo tra manifestanti cattivə e manifestanti buonə. Critichiamo i giovani palestinesi che inneggiano alla resistenza, che nasce con l’oppressione e non il 7 ottobre 2023, ma noi da dove nasciamo? La resistenza italiana è priva di versamenti di sangue? Di regolamenti di conti? Del sangue dei vinti, per citare Pansa? Abbiamo la legittimità di dire per cosa si manifesta dopo quasi ottant’anni di oppressione? E pensiamo che l’accordo di pace di cui sopra potrà eliminare la rabbia e lo spirito di resistenza nel momento in cui l’accordo di pace nasconde tra le sue maglie la continua presenza dell’IDF su metà del territorio della Striscia?

Quel movimento a cui aderiamo fin dall’inizio non può che decolonizzare lo sguardo e continuare a pretendere una Palestina pienamente libera e in mano alle persone palestinesi: frocie sempre sioniste mai.