«Il male lo abbiamo dentro di noi», diceva Seneca, ed è così che chi, giustamente, inorridisce davanti a un imprenditore che lascia il corpo mutilato di un proprio bracciante migrante davanti a casa senza dargli soccorso, dovrebbe anche chiedersi quante volte ha esercitato al buio e senza essere visibile l’altruismo e la civiltà che vede mancare in questa storia. La cosiddetta “umanità” è l’autoinganno che amiamo di più. Ci raccontiamo da secoli che quanto vediamo accadere quasi quotidianamente accanto a noi, leggendo ad esempio le pagine di cronaca, è disumano, o inumano.

Abbiamo scelto una teologia negativa utile a descrivere ciò che magari ci fa orrore, ciò che è efferato, ciò che vogliamo sperare non appartenga al consesso umano, ciò che riteniamo forse animale e che anzi, magari associamo agli animali (dimenticando comodamente che lo siamo anche noi – viva lo specismo, insomma). Questa pratica linguistica assume il valore di un feticcio, di un rituale apotropaico volto ad allontanare ciò che ci spaventa, più dentro di noi che altrove. A ben vedere la crudeltà che cerchiamo di esorcizzare relegandola fuori e lontano è semplicemente un nostro tratto caratteristico. Certo non siamo solo questo. Possiamo scegliere di aderire a un sistema di valori morali che reputiamo migliore, ma questa scelta è, come ogni scelta, una crisi. Non un qualcosa che abbiamo già dentro di noi ma un processo che scegliamo di attraversare, un’alchimia che può partire solo dal riconoscere cosa siamo in grado di fare e cosa a volte vorremmo fare, per capire quanto e quando riusciamo a dirigere altrimenti la nostra volontà. Riconoscere il male dentro di noi è il primo passo necessario per essere il meglio che vogliamo e, spesso, fingiamo di essere. Non dovremmo, insomma, cadere nella trappola di chi nega di sapere che dentro al proprio partito si inneggia al duce; di chi sostiene di non essere razzista, di chi si vende al di sopra delle parti senza aver affrontato, problematizzato e manifestato mai alcuna elaborazione. È riconoscendo in noi il nostro razzismo, la nostra omolesbobitransafobia, il nostro classismo e il nostro specismo che possiamo scegliere consapevolmente chi vogliamo essere. Tutto questo non va dimenticato e va fatto in fretta, o quel nero che avanza nella nostra contemporaneità, tra non molto, ci assomiglierà troppo per poterlo distinguere.