PER UNA NAZIONALE CHE PASSA AL SECONDO TURNO C’È UN MOVIMENTO CHE RISCHIA DI RIMANERE ANCORA AI PRELIMINARI
Due anni dopo, a qualificazione ottenuta e diverse vittorie nel girone, le Azzurre saranno trasmesse per la prima volta sul canale ammiraglio della Rai. In prima serata.
Con la Nazionale femminile di calcio, che ha già matematicamente in tasca il passaggio agli ottavi di finale, sono tre le considerazioni che occorre fare: cosa è successo in questi due anni? Cosa sta succedendo in questi giorni? Ma soprattutto, cosa succederà una volta che i riflettori sul Mondiale femminile di calcio – speriamo il più tardi possibile – si saranno spenti?
Back to the beginning. Giorgia Mecca, giornalista sportiva del Foglio, ha ben sintetizzato, in questo articolo del 21 maggio 2019, lo stato dell’arte del movimento femminile di calcio: «Umiliate, offese e ancora in piedi. Per molti anni le donne che giocavano a pallone hanno rappresentato un’anomalia, un problema sottinteso, qualcosa per cui era lecito scandalizzarsi; l’idea di fondo era che ci fosse qualcosa che non andava in una ragazzina se preferiva il calcio alla pallavolo, al tennis o alla danza. La reazione più generosa con cui osservare le calciatrici era l’indifferenza, l’alzata di spalle. Di prenderle sul serio non se ne parlava nemmeno. In generale, di loro si rideva molto, senza motivo e soprattutto senza giustificazioni».
Il movimento femminile di calcio in Italia non ha mai avuto vita facile. Le uniche costanti sono la perenne mancanza di fondi e di buona volontà di investire, a parte poche società in Italia, e il pregiudizio che il calcio sia prerogativa maschile e non di «quattro lesbiche», uscita infelice di Felice Belloli, presidente della Lega Nazionale Dilettanti, e «handicappate», dichiarazione di Carlo Tavecchio che della Figc all’epoca era presidente. Cosa significava voler fare la calciatrice negli anni Novanta o nei primi anni Duemila? Significava soprattutto dover pensare a un piano b: può vivere di sport un’atleta che viene considerata una dilettante? Perché questo erano e questo sono ancora le bambine che alle scarpette con la punta di gesso hanno preferito i tacchetti: dilettanti. E non per loro volontà. Il vulnus è antico, non riguarda soltanto le donne del pallone e sulla Falla ne abbiamo già parlato qui. In Italia si consuma un paradosso: giocatrici straniere professioniste e giocatrici italiane considerate dilettanti che giocano con la stessa casacca.
Per non farsi mancare nulla, perché vogliamo le pari opportunità, sono iniziati anche gli articoli sulle wags delle calciatrici e le speculazioni sul loro orientamento sessuale. Forse sarà un segreto di Pulcinella, come ha dichiarato Alessandro Cecchi Paone, ma se ne sente il bisogno? Per una volta non sarebbe bello parlare semplicemente di sport senza preoccuparci di chi va a letto con chi?
Dopo il novantesimo. Cosa accadrà quando la direttrice di gara fischierà la fine – speriamo il più tardi possibile – del Mondiale per l’Italia? Cosa accadrà quando finirà questa sbornia collettiva per le Azzurre? Le ultime settimane hanno dimostrato che non è vero che il movimento femminile non ha mercato mediatico: il pubblico è pronto per il calcio delle donne e vuole saperne e vederne di più. Se ne vedremo e ne leggeremo di più è tutto da vedere, e speriamo di vederne sempre di più e sempre meglio.
Speriamo che questa visibilità si accompagni anche a una rivoluzione lessicale: declinare al femminile non è peccato. Usiamo i giusti pronomi: le, non gli (ecco una delle sbavature della telecronaca Rai).
A tal proposito… Il tennis è tennis. Che giochi Federer o una delle sorelle Williams. Il salto in alto è il salto in alto e i cento metri piani sono i cento metri piani. Il volley è il volley e, sorpresa, il calcio è il calcio. Può sembrare lapalissiano, ma farcelo entrare in testa è indispensabile. Quelli che si stanno disputando in Francia, infatti, non sono i mondiali di calcio femminile, ma i mondiali femminili di calcio. Il campionato è il campionato femminile di calcio, non il campionato di calcio femminile. Il calcio è calcio, si gioca in undici contro undici, sullo stesso campo, con le stesse porte e il fuorigioco funziona esattamente alla stessa maniera. Non c’è bisogno di creare distinzioni lessicali, la realtà italiana, come abbiamo visto, fa già abbastanza schifo di suo.
Dopo il triplice fischio ci sarà bisogno di un’Italia che a livello federale e statale – nel calcio e in tutti gli altri sport – cancelli le differenze di trattamento tra uomini e donne. C’è bisogno di un’Italia che decida di liberarsi una volta per tutte di quel dilettantismo imposto, che fa urlare al miracolo quando viene riconosciuto il fondo maternità per le atlete. C’è bisogno di un’Italia che sia pronta a scendere in campo con la sua migliore formazione per combattere la partita più importante: quella per i diritti.
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