(SVEZIA, 2018, 115′) V.O. SOTT.

Stasera alle 22:00 verrà proiettato in prima nazionale il film Aniara, una produzione svedese che lancia letteralmente il pubblico nello spazio, trascinandolo in una navicella per sfuggire a un mondo devastato dal cambiamento climatico. 

La tecnologia sta evolvendo in modo esponenziale, tanto da farci accedere a quelle che potevano sembrare unicamente fantasie poche decadi fa. Nel 1956 il premio Nobel Harry Martinson pubblica Aniara, il cui titolo si ispira al greco “triste, disperat*” e ben restituisce l’anima dell’opera e quelle ispirate. Un poema fantascientifico nato in un periodo storico nutrito da minacce nucleari a seguito di Hiroshima e in piena Guerra Fredda. Le sensazioni che hanno portato alla creazione di quest’opera sono ancora attuali, tanto che ne viene presentato il primo adattamento cinematografico al Festival internazionale del film di Toronto nel 2018.

Aniara (Svezia, 2018, 115’), co-diretto da Pella Kagerman e Hugo Lilja, utilizza la tensione che oggi ci divora rispetto all’urgenza e incertezza verso l’ambiente, molto simile a quella passata. La Terra è devastata a causa del cambiamento climatico e l’umanità è costretta a migrare su Marte. Una nave spaziale, omonima in film e poema, vi si sta dirigendo ma avviene un incidente con un detrito spaziale. Tutto il carburante va perso, lasciando l’enorme mezzo di trasporto in balia dello spazio.

Mima, una sorta di intelligenza artificiale, è l’unico legame con la Terra, essendo in grado di riprodurre delle visioni, tratte dalle memorie degli individui, indistinguibili dalla realtà. A seguito dell’incidente diventa parte integrante del funzionamento della nuova comunità, suo malgrado, per gestire il malessere dilagante e dare sollievo. Dopo la presa di coscienza che non esiste modo per tornare indietro la macchina è sopraffatta dalle emozioni negative dei suoi utilizzatori e prende una scelta drastica. Inizia l’inevitabile discesa nella disperazione e nella depravazione che solo una simile prigionia può causare.

L’ambientazione è studiata per risultare familiare allo spettatore, tramite le tecnologie, le relazioni e gli spazi fisici molto simili al contemporaneo. Permette una maggiore empatia con i personaggi, che vediamo sfaldarsi a poco a poco, uno dopo l’altro, sotto il peso della situazione e dell’impotenza.

La gestione del climax risulta inefficace a causa della successione delle scene: il montaggio espone una divisione scandita in capitoli che avviene attraverso gli anni che passano, senza mai raccontare qualcosa. Tutte le emozioni e sensazioni dei protagonisti risultano confuse e dispersive, come succede nella depressione. Il disordine e la discontinuità diventano quindi strumento di narrazione che instilla nello spettatore lo stesso senso di abbandono a cui sono destinati, alla deriva nello spazio.

Un parallelismo dove, anche se ancora non ci manca la Terra da sotto i piedi, possiamo riconoscerci fin troppo bene. 

Programmazione
Trailer