Lo schiaffo del principe o di Will Smith ferito nell’onore
Da questa notte, l’internet è diviso: ha fatto bene Will Smith a mollare quel ceffone a Chris Rock o la sua reazione è stata spropositata rispetto all’offesa ricevuta?
Per chi ancora non lo sapesse, ecco cosa è successo: durante la notte degli Oscar – che ha visto Smith vincitore come miglior attore protagonista – il conduttore e comico Chris Rock ha fatto una battuta piuttosto infelice sulla moglie dell’ex principe di Bel-Air.
«Jada, ti adoro e non vedo l’ora di vederti in Soldato Jane 2», ha detto Rock rivolgendosi a una sgomenta Pinkett che, affetta da alopecia, da mesi ha deciso di rasarsi i capelli a zero.
La reazione di Smith è stata quasi immediata: dopo aver accennato a una risata, accortosi del disagio della compagna, si è alzato, è corso sul palco, ha schiaffeggiato il conduttore e poi gli ha intimato di «chiudere quella cazzo di bocca» e di lasciare in pace sua moglie.
Un sberla in mondo visione.
Intendiamoci, non c’è niente di male nel proteggere le persone che amiamo, dovrebbe essere la base di ogni rapporto, ma il ricorso alla violenza fisica era necessario?
C’è chi sostiene di sì, perché a un bullo occorre rispondere con la stessa moneta, c’è chi risponde che no, una risposta a parole sarebbe stata più efficace e c’è chi risponde che l’unica titolata a dare una risposta sarebbe stata solo ed esclusivamente Jada Pinkett.
Una delle letture più preoccupanti, però, è quella che giustifica il gesto di Smith con un frame che purtroppo conosciamo bene, quello machista, paternalista e patriarcale che vede la donna (quasi) come se fosse una proprietà del suo uomo, che deve difenderne l’onore. Will Smith premio Oscar ferito nell’onore.
Una interpretazione, questa, che esce rafforzata dal discorso di accettazione del premio avvenuta poco dopo. Sul podio, Smith è scoppiato in lacrime e si è giustificato così: «In questo momento della mia vita sono sopraffatto da cosa Dio mi chiede di fare ed essere in questo mondo. […] Nella mia vita sono stato chiamato ad amare le persone ed essere un fiume per la mia gente. […] Denzel Washington qualche minuto fa mi ha detto “Nel tuo momento più alto, stai attento, è quando il diavolo viene per te”. […] L’arte imita la vita. E sembro il padre pazzo, quello che hanno sempre detto di Richard Williams! Ma l’amore fa fare cose folli».
«L’amore fa fare cose folli» è una frase che abbiamo sentito un po’ troppe volte.
L’abbiamo sentita per giustificare l’aggressione di un uomo rifiutato nei confronti di una donna. L’abbiamo sentita per giustificare un femminicidio.
Una frase che fa il paio con «tempesta emozionale», «raptus della gelosia» e con altre locuzioni che hanno sempre lo stesso triste e squallido sottinteso: «Se l’è cercata».
«Nel tuo momento più alto, stai attento, è quando il diavolo viene per te» è la frase che Denzel Washington avrebbe detto a Will Smith subito dopo lo schiaffo, altra frase che ricorda in maniera spaventosa quel tipo di mascolinità tossica che sfocia in una mascolinità altrettanto tossica e che porta a giustificare azioni altrimenti ingiustificabili.
Che cos’è quel diavolo che viene a prenderti se non uno scarico di responsabilità sulle nostre azioni? Un tipo di narrazione rafforzata dalla retorica della predestinazione, tipica di un certo tipo di cultura americana e intrisa di riferimenti religiosi. Smith non vuole passare per un pazzo, come è successo al personaggio da lui interpretato, il padre delle tenniste Venus e Serena Williams, ma vuole passare come l’uomo che ha fatto ciò che ha fatto per amore, per protezione.
«L’amore fa fare cose folli» come autoassoluzione di un gesto che in molte avremmo voluto non vedere.
E anche se molt* di noi hanno sognato, almeno una volta nella vita, di ripagare con la stessa moneta chi ci ha fatto soffrire, chi ci ha dileggiato in pubblico, chi ci ha bullizzato, è bene chiedersi se una reazione così sia opportuna di fronte a centinaia di videocamere e in diretta mondiale.
La vendetta è un sentimento umano, ma proprio perché umani dovremmo avere gli strumenti per poter reagire senza eccedere di legittima difesa.
Certo, lo schiaffo in sé colpisce, è un gesto deprecabile e sicuramente più immediato della battuta di Chris Rock, alla quale in molt* avranno riso.
Quello che ci scordiamo, a volte, è che l’ironia può fare male. Molto male.
Le parole, spesso, hanno la stessa violenza di uno schiaffo. Però ce lo scordiamo, abituat* a pensare che libertà di espressione voglia dire libertà di poter dire tutto ciò che ci passa per la testa. La satira, però, non è questa.
E se scherzare sulla malattia tout court non è un tabù, occorre però la sensibilità di rispettare chi, nel corso degli ultimi mesi, ha reso pubblico il suo malessere e il profondo disagio nei confronti della malattia stessa. Si chiama bodyshaming e non fa ridere per niente.
Ci sono confini, anche nella satira, che non dovrebbero essere superati. E Chris Rock non è nuovo a questi sconfinamenti: «I’m not saying he should have killed her… but I understand», «Non dico che avrebbe dovuto ucciderla, ma l’avrei capito», diceva di OJ Simpson. Una comicità – se così si può dire – machista, paternalistica e patriarcale. Così come la reazione di Smith. Due facce della stessa, solita, medaglia, quella che dà spazio ai carnefici e toglie le vittime dai riflettori, le mette in secondo piano e riduce tutto a chi ce l’ha più duro. Due facce della stessa, solita medaglia, dove basta una manciata di testosterone per far scomparire tutto il resto. Quello che era importante fin dall’inizio.
E più nessun* che si chieda davvero come stia Jada Pinkett.
Perseguitaci