Gestione dello spazio e disuguaglianza
di Elisa Manici
It’s a man’s man’s man’s world, recita il titolo della canzone composta da James Brown e Betty Jean Newsome nel 1966. E nonostante la risposta, 30 anni dopo, di Neneh Cherry con Woman, e l’inno ottimista di Cher Woman’s world, del 2013, possiamo affermare che, a 52 anni di distanza, il nostro sia ancora, potentemente, un “mondo degli uomini”.
Quando pensiamo, leggiamo, parliamo del patriarcato, spesso è più semplice considerare questo sistema di governo/potere come un qualcosa di astratto, appannaggio di pochi potentissimi uomini di grigio vestiti, che con scientifica malvagità mantengono le donne in uno stato di minorità sociale, economica, politica.
La realtà è, come sempre, differente e, soprattutto, più complessa. Il sistema di dominio maschile è capillare, pervade ogni sfera della vita e delle interazioni umane, producendo una serie di effetti che condizionano la nostra vita e i nostri gesti quotidiani, senza che nemmeno ce ne rendiamo conto.
Uno dei fenomeni più macroscopici di cui poco si parla è il modo diverso con cui donne e uomini abitano il mondo: come si muovono, come parlano, come interagiscono con e negli spazi urbani. E – indovina – le donne sono quelle che se la passano peggio, e che devono puntualizzare, far notare, combattere, essere etittate come autoritarie, acide, mascoline, assetate di potere, quando non mettere a repentaglio la propria incolumità.
Prendiamo le conversazioni: una delle interazioni sociali che si ritiene più spontanea, è in realtà un gioco iper-regolato dagli stessi partecipanti, senza che se ne rendano conto. Le conversazioni riflettono e mantengono le strutture gerarchiche dominanti, e le perpetuano creando disuguaglianze nella capacità di raggiungere gli obiettivi interazionali. La disuguaglianza di genere, in particolare, si ottiene con un mix tra uso del potere e interruzioni del turno di parola. Nelle conversazioni miste, ad esempio, anche quelle di lavoro, cioè orientate a uno scopo, la grande maggioranza delle interruzioni del turno di parola è agita da uomini. Non tutte le interruzioni hanno successo, cioè riescono a spostare il discorso, ma è interessante notare che invece le donne interrompono donne e uomini allo stesso modo. Come a dire: in a man’s world, farsi valere è una lotta continua, pure verbale.
Anche gli spazi e le infrastrutture pubbliche sono, inevitabilmente, genderizzati: vengono usati in modo molto diverso da uomini e donne, e sono, spesso, molto insicuri per le seconde. Anzi, più le risorse sono limitate, più gli spazi diventano pericolosi per le donne. Se n’è accorta, anni fa, anche l’Onu, che nel 2009 ha lanciato la campagna UN Women’s Safe Cities, volta a prevenire la violenza sessuale in varie città pilota del mondo. I bisogni di base registrati sono più luci nelle strade, e più toilette pubbliche funzionanti, perché la loro assenza favorisce le aggressioni, da Cape Town a New Delhi.
Diane Torr, artista e performer morta l’anno scorso a nemmeno 70 anni, è forse la madre del drag kinging inteso, più e oltre che come intrattenimento, come riflessione sul genere come performance sociale e sul privilegio maschile nello spazio quotidiano. A partire dal 1990 – una vera pioniera – ha infatti tenuto, letteralmente in mezzo mondo, il workshop Man for a day, in cui insegnava alle donne non solo i segreti per vestirsi e truccarsi da uomo, ma, soprattutto, i codici di comportamento, i gesti, il linguaggio del corpo. Per interpretare in modo convincente un maschio alfa, secondo lei, bisogna trasmettere un forte senso di appartenenza e proprietà, più che fare una caricatura accattivante.
La denuncia sui media e sui social del manspreading, cioè dell’atto tipicamente maschile di allargare le gambe quando ci si siede sui mezzi pubblici, invadendo lo spazio personale altrui, fa gridare – che novità – all’isteria delle femministe, alla loro presunta continua esagerazione, per arrivare a: “Ci avete tolto tutto, maledette, lasciateci almeno questo gesto innocente”. Pur non configurandosi come una molestia, il manspreading è un esempio di quella che potremmo definire quasi una maggiore titolarità degli uomini, auto-attribuita, ad abitare il mondo.
Come sempre, l’unico modo per cambiare lo stato delle cose è un gesto alla volta, un passo alla volta. Sia da parte degli uomini, che anche su questi temi hanno, volendo, un gran lavoro da fare per decostruire il proprio privilegio, che delle donne, le sole che possono e devono diventare più protagoniste del teatro sociale, magari iniziando col temere meno il giudizio negativo altrui se alzano la testa, o parlano a voce più alta, o osano occupare più spazio fisico dello stretto necessario.
pubblicato sul numero 37 della Falla – luglio/agosto/settembre 2018
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