NON SOLO DISABILE, ANCHE LESBICA
Un vecchio indovinello chiede: è meglio essere gay o nero? Nero, perché non lo devi dire ai tuoi genitori. La mia situazione non è tanto diversa: non l’ho dovuto raccontare, infatti, ai miei genitori che ho un diabete bastardo non compensato da nessuna terapia, danni neurologici che mi impediscono di programmare le giornate da qui a dopodomani e un visus talmente limitato che, al confronto, Mr Magoo sembra la piccola vedetta lombarda.
Ho voluto sedermi di fronte a loro, però, e far presente che c’erano anche cose che non sapevano. Per esempio che non ero felice, che ero sposata con un uomo che non amavo, che non mi amava e che aveva avuto per di più la gentilezza di usarmi violenza; che non volevo più nascondermi dietro una facciata di normalità che di normale non aveva nulla.
Normale è un termine che mi fa alzare i peletti dietro al collo: normale, io credo di non esserlo mai stata. Sono sempre andata alla ricerca di quelle cose che riempiono la vita: lavoro, famiglia, amore… Poi scopri che invece di vivere a New York, finisci nella bassa reggiana; che invece di essere una chirurga di successo, descrivi gli articoli sui giornaletti pubblicitari; che invece di avere tre figli, hai una bimba in affido che ti riempie casa e che invece di un matrimonio felice, hai una separazione alle spalle che ti ha lasciato più di qualche metaforica cicatrice addosso. Ma scopri anche che ti piace, come stai diventando da grande. Che hai ancora chilometri da percorrere, ma che senti di essere sulla buona strada, anche grazie a quel passo: anche grazie al coming out.
Ho incontrato una persona e l’ho trattata tanto male. Ho sbagliato tutto quello che si poteva sbagliare, con lei: ho avuto paura, mi sono nascosta e le ho mentito, molto più preoccupata che lei potesse non accettare la mia disabilità, anziché la mia omosessualità. È stato come con uno di quei macinini che ronzano e sbuffano e tossiscono fumo, però si accendono: lei mi ha dato il coraggio per fare cose che non credevo più di saper fare.
Ho preso un treno, mettendo da parte l’imbarazzo di dover chiedere aiuto, narcotizzando quella vocina che mi soffia nell’orecchio: «ecco, se adesso ti blocchi sei da sola» e pregando tutto ciò in cui non credo perché non mi facesse mancare la stazione giusta. Ho preso un treno e ci ho messo la faccia, certa che lei mi ci avrebbe sputato, in faccia. Assolutamente sicura che, vista me, lei sarebbe evaporata. E, invece, è rimasta.
Mi ha fatto il più bel regalo che mi si potesse fare: mi ha ricordato di quanto io possa ancora dare. Dice che sono un’accogliente compulsiva e mi fa ridere da matti. È tutta la vita che mi sento un peso, diversa e in colpa. Ci sono dei momenti in cui mi raggomitolo in un angolo, come una palletta incazzata. Non mi muovo, non parlo, non respiro nemmeno per non disturbare, ma ho trovato un mio equilibrio, il mio modo per fare le cose: leggo in un certo modo, attraverso la strada in un certo modo, cucino in un certo modo. Non è una banalità dire che chi ha un deficit sensoriale, sopperisce con altro: esiste un my way che le persone con disabilità sviluppano e non è scontato nemmeno dire che chi vive intorno a loro deve imparare anche quel modo lì.
Siamo persone diverse, ogni disabilità è diversa ed è per questo che non ho consigli su come affrontare la situazione; credo si possa, e forse si debba, scherzare su tutto perché la comicità è un codice e, se riesci a usarlo, apri tutte le porte.
E allora va bene farlo anche delle nostre diversità – che si parli dell’orientamento sessuale o della nostra caduca imperfezione. Perché non lo so mica come sia presentarsi al mondo da lesbica normodotata (brr). Non so come sia presentarsi al mondo da normodotata, punto e basta e, mentre scrivo, mi rendo conto di quante volte ho già affiancato le due cose, come se entrambe mi danneggiassero: ho sempre avuto paura di essere inadeguata, brutta, sbagliata, rotta, ma c’è chi ha saputo guardare oltre. E va bene, già lo sento il coro scandalizzato che ripete: devi stare bene con te stessa, per te stessa. È vero, è così. Però, a volte, serve un aiutino.
Il mio aiutino è stato sentirla sotto le dita, letteralmente vederla così, conoscerla. È stato poterla sfiorare, scoprirne il profilo: il disegno morbido delle labbra, la curva sottile delle sopracciglia; ho mappato il suo corpo, centimetro dopo centimetro e forse lo avrei potuto fare anche con un uomo – ma non mi è successo. La verità è che mi sono sentita libera di essere me stessa solo quando ho deciso di accettare di essere ciò che sono: una lesbica guercia. E va bene così.
Immagine in evidenza di TAU Visual associazione nazionale fotografi professionisti TAU Visual(anonime.
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