Quando la presunzione d’innocenza diventa martirio
La presunzione di innocenza, ovvero quel principio secondo il quale siamo tutt* innocenti fino a condanna definitiva, è uno dei capi saldi dell’informazione democratica. Vale per un presidente della Repubblica come per l’ultimo disgraziato sulla faccia della terra: emettere sentenze non è compito di noi giornalist* e non è compito dei social media.
A meno che tu non sia Cristiano Ronaldo, perché in quel caso la tua innocenza non solo non sarà messa in discussione, ma diventerà il simbolo di un martirio orchestrato da chi, invidioso, è in cerca di visibilità.
Un campione come lui come può essersi macchiato di un gesto tanto vile? No, deve essere una maldicenza messa in giro da qualcuno.
Un uomo così bello che bisogno avrebbe di violentare?
Perché denunciare dopo dieci anni?
No, Cristiano è un professionista e niente potrà cambiare la nostra considerazione (Juventus dixit).
Cristiano è un dio.
Cristiano è al di sopra di ogni sospetto.
La rete ha deciso, per Ronaldo non vale la presunzione di innocenza perché lui è l’innocenza. E se la rete acclama, parte della stampa segue. E così oggi, nove ottobre, Tuttosport può intitolare Giù le mani da CR7 e Stadio-Corriere dello sport CRSEX, Cristiano in croce.
Cristiano Ronaldo non solo è innocente, è un perseguitato. Cristiano è il nuovo martire sacrificato da quelle donne invidiose del #metoo. Kathryn Mayorga, la modella che secondo la ricostruzione del Der Spiegel sarebbe stata violentata dal calciatore lusitano (uno spiegone efficace lo trovate su Il Post, ma tenete dello Xanax a portata di mano), è solo una donna in cerca di notorietà.
Se avete notato discrepanze nella consecutio di quanto scritto fino ad adesso non è un errore: la presunzione di innocenza vuole il condizionale, la rete e (alcuna) stampa hanno deciso che per CR7 l’indicativo va bene e a volte la scelta del modo verbale è una vera e propria dichiarazione politica e d’intenti.
L’eventuale innocenza o colpevolezza di Cristiano Ronaldo deve essere stabilita da un giudice: qualsiasi altro tribunale improvvisato dalla stampa o dalla rete sarebbe un qualcosa di inappropriato.
Grave, anzi, gravissime, sono però anche le accuse. Talmente gravi che infilare la testa sotto la sabbia o difendere a spada tratta il proprio beniamino proprio non si può. La posizione presa da parte della stampa italiana (compresi alcuni commentatori televisivi) è la cartina tornasole di un atteggiamento diffuso non solo in Italia, ma nel mondo. Quando le accuse sono quelle di stupro non si può ridurre tutto alla dicotomia noi-loro delle curve da stadio. Se questo è vero per il singolo, è tanto più vero per chi, col suo lavoro, dovrebbe contribuire alla corretta informazione.
“Giù le mani da Cristiano” e “Cristiano in croce” non sono informazione: sono una sentenza. E di giustizia sommaria non abbiamo bisogno.
Perseguitaci