IL CORPO GRASSO NELL’OCCIDENTE CONTEMPORANEO

Una cinquantenne accetta un dolcetto durante un tè con le amiche. Quando trova il coraggio di prenderne un secondo dal vassoio, sente il bisogno di giustificarsi: “…ma questa è la mia cena!”.

Una ventenne, fuori da un camerino di prova di un negozio, guarda l’amica con un misto di ammirazione e invidia: “Stai benissimo, ma certo, tu questo vestito te lo puoi permettere”.

Un ragazzo in carrozzina parla di un vigile urbano che a suo avviso gli aveva fatto un torto: ”Quell’obeso di merda”.

In primavera, ogni singolo anno, senza possibilità di scampo, i media generalisti ci avvertono che sta arrivando la “prova costume”, e ci avvisano, bontà loro, che dobbiamo farci trovare pronti, tutti, come se stesse per arrivare una pandemia.

Non serve essere studiose o attiviste per rendersi conto di come, nella nostra società, tutti i corpi non conformi siano stigmatizzati più o meno violentemente. Persone con disabilità, non binarie, o che semplicemente abitano corpi le cui dimensioni non sono considerate abbastanza standard, si portano dietro una scia di disapprovazione, disgusto e odio che spesso le segue, inesorabile, dal web alla vita reale, e viceversa. In un panorama sociale che solo nelle sue isole più avanzate vanta – e spesso più a parole che nei fatti – di aver assunto il concetto per cui le diversità umane arricchiscono, è però rimasto un solo insieme di persone che tutti si sentono perfettamente sereni a dileggiare: quelle grasse. Proprio tutti, anche chi subisce insulti o stigma sociale per altri motivi. Anche i robusti o gli appena grassottelli, che ci tengono in modo particolare a distanziarsi, per quanto possono, dall’appartenenza a una categoria tanto disgraziata, senza capire che, come per tutto, si tratta di un continuum, non di divisioni nette tra inclusione ed esclusione.

Nonostante ci siano ormai molti studi scientifici che provano che il 90% delle diete fallisce entro 5 anni dal loro termine, e nonostante ci siano dati attendibili a dirci che persino molti interventi di chirurgia bariatrica non hanno buon esito, è ancora fortemente radicata l’idea che il peso sia un fattore che dipende solo dalla forza di volontà, e che quindi chiunque è grasso sia una persona debole e fallita a prescindere.

Il padre filosofico di molte, Michel Foucault, aveva posizioni sul corpo che trovano nel controllo odierno del peso, proprio e altrui, un’applicazione da manuale. Secondo lui, infatti, il potere contemporaneo produce e normalizza i corpi, rendendoli strumentali ai rapporti prevalenti di dominio e subordinazione. Il dominio di certi gruppi e ideologie non si concretizza attraverso un’autorità esercitata dall’alto, ma piuttosto con un controllo sociale diffuso che porta gli individui all’autosorveglianza e all’autoregolamentazione: “Non servono armi, violenza fisica, costrizioni materiali. Basta uno sguardo. Uno sguardo che ispeziona, uno sguardo che ciascun individuo, sentendolo pesare su di sé, finirà per interiorizzare al punto di essere l’osservatore di se stesso; così ciascuno eserciterà questa sorveglianza su di sé e contro di sé”.

Chi abita un corpo grasso ha l’onere di trovare strategie di sopravvivenza. Il movimento per la body positivity, i cui cascami sono giunti in Italia sotto il nome di “orgoglio curvy”, è ormai relativamente noto al grande pubblico. Per quanto animato da buone intenzioni, in realtà danneggia le persone grasse che non rientrano nelle misure corporee della grassottella e/o nella forma a clessidra; si limita a spostare un poco più in là il confine di ciò che è ritenuto socialmente accettabile, dicibile, rappresentabile, e in ultima istanza bello.

Con una prospettiva più complessa e radicale, il fat queer activism rivendica il diritto alla non normatività del proprio corpo grasso nella prospettiva performativa connaturata al queer, sottolineando sempre come anche la grassezza sia un costrutto culturale molto malleabile, che può essere usato per servire gli interessi economici e culturali dominanti.

Il controllo sulla grassezza agisce su tutti, indistintamente, a prescindere dal peso reale, peggiorandoci la qualità della vita, aumentando le ansie sociali e il senso di esclusione. Tra una sgomitata e una risatina di sconosciuti per strada e l’autopercezione di inadeguatezza, chi sta peggio sono, evidentemente, le persone grasse, che possono sperare, nel migliore dei casi, di essere considerate invisibili, oppure senza corpo. Certo, meglio l’invisibilità degli insulti, ma quanto dolore da sopportare, visto che tra i bisogni primari degli esseri umani c’è il bisogno di essere visti e amati per come si è.

Non esistono soluzioni facili, ma una frase-chiave c’è, e implica tutta la complessità del mondo: decostruire per resistere ed esistere con più gioia.

pubblicato sul numero 36 della Falla – giugno 2018