Fluida, incandescente, esplosiva come il magma è stata la vita di Jewel Thais-Williams, fondatrice di un disco club a Los Angeles, costa occidentale degli Stati Uniti, divenuto celeberrimo per la sua ostinata accoglienza di neri e di bianchi, di persone che abitano i mille sentieri delle sessualità, per il dar voce e visibilità alle donne, per di più lesbiche e afroamericane. Per essere assunto, suo malgrado, al rango di baluardo durante la prima e ferocissima fase di propagazione dell’epidemia di Aids.
Pur limitandoci a queste brevi note biografiche, appare evidente l’importanza della storia di Jewel. Aggiungiamoci che a cinquantasei anni s’è iscritta all’università, ha preso un master in medicina tradizionale cinese e ha aperto una clinica in un sobborgo povero di L. A., dove cura i malati chiedendo loro in cambio ciò che possono permettersi di pagare – spesso solo un sincero “grazie” –. Che ha fondato e servito ai tavoli di uno dei primi ristoranti vegani, che ha venduto il suo locale da ballo, ha prodotto questo documentario, aperto un’altra clinica e lavora tutti i giorni, umilmente. Iniziamo a farci un’idea della vulcanicità della sua personalità.
Il documentario, attraverso immagini di repertorio inedite, provenienti dall’archivio della protagonista e di chi ruotava attorno al Catch One, narra, inanellandole, queste “storie di costruzione e di difesa della comunità”. Comunità, una parola ripetuta più volte nel corso del lungometraggio, su cui vale la pena soffermarsi. Quale comunità? Quella nera? Quella lesbica? Quella omosessuale, bisessuale, trans? Quella dei poveri delle sterminate periferie?
Nella risposta a queste domande troviamo la soluzione semplice e geniale che permette alla protagonista di porsi al centro dei conflitti sociali della California e dell’America: tutte e tutti sono benvenuti. Abbattere i muri, combattere a muso duro il razzismo, la misoginia, la fobia delle persone povere, delle persone nere, delle persone ammalate, dei diversi e delle diverse. Mischiare, mescolare, fondere, unire, miscelare, amalgamare le differenze nel rispetto della dignità e della biografia delle ultime, degli ultimi.
In questi anni di rinascenti fascismi sociali e culturali, la lezione di Jewel ci parla dell’importanza di unire le lotte, di superare gli identitarismi da anime belle, di sporcarci le mani nel fare quotidiano che dà senso all’esistenza. Soprattutto ci interroga su quanto lavoriamo per promuovere quel valore che tanto infastidisce il capitalismo patriarcale, la solidarietà fra le oppresse e gli oppressi, di tutte le latitudini, di tutti i colori, di tutti i generi, di tutte le sessualità.
Foto: Some Prefer Cake
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