Un amore che non paga
Nella grande Venezia, dove questa scena s’apre, mercanti e usurai stanno per incontrarsi tra le pagine di una delle più celebri commedie shakespeariane, che pare però celare una tragedia appena sussurrata. C’è una bella fanciulla dalla ricchissima eredità, in attesa di essere maritata e, ovviamente, c’è un bel giovanotto che se ne è innamorato. Questo è Bassanio, nobile senza fondi, che desidera corteggiarla, ma per farlo occorrono quattrini. Ecco il motore della vicenda, un amore possibile ma dalla strada un po’ impervia. Quale può essere il primo passo del nobile, se non quello di chiedere un prestito al suo amico più caro?
Si presenta l’impasse: Antonio, ricchissimo mercante, che apre l’opera esternando un forte travaglio interiore che alcuni personaggi identificano come pena di cuore, “in verità non so perché sono così triste”, si rallegra alla vista dell’amico e, ascoltata la sua richiesta, acconsente con dolcezza: “Tu mi conosci bene, e sprechi tempo / a circuire il mio amore a parole”. Crudele l’amore che porta un uomo sulla strada che aiuta l’innamorato a corteggiare una donna, spingendolo a scendere a patti col demonio: con i propri beni a bordo di navi che rientreranno non prima di due mesi. Antonio è a corto di liquidità, e per non deludere l’amico si rivolge all’ebreo Shylock, celebre usuraio.
Quale garanzia chiedere mai al mercante, se non una scherzosa libbra di carne del suo corpo, giacché sicuramente i carichi approderanno in porto in tempi brevi! L’infatuazione, reso cieco Antonio, lo ha spinto nel tranello, tutto meno che insospettabile, ordito dal giudeo che lo odia. Dunque da un lato i tipici toni della commedia che incalza, dall’altro il grottesco intrigo ai danni di un uomo vittima di un amore “che non osa pronunciare il suo nome”.
Non occorre essere troppo fantasiosi per scorgere in Antonio, e in ciò che prova, una passione simile a quella dello stesso Shakespeare nei suoi sonetti più intimi e discussi, in particolare nel XX: “Ma poiché ti diede forma per il piacere delle donne / mio sia il tuo amore, e il tuo corpo il loro tesoro.”, e paiono dunque non del tutto folli le ipotesi che vedono un’identificazione dello scrittore nel suo personaggio.
Sull’omosessualità putativa del Bardo dell’Avon si sono spese parole e inchiostro in un fiume di discussioni che probabilmente non troverà mai nell’oceano la sua foce; non in quello stesso mare in cui, ufficialmente disperse a causa di immani tempeste, le navi di Antonio hanno vagato giungendo nei luoghi più remoti. Una di queste pare che giunse lontana, persino nel tempo, in una Scozia scossa da guerre e intrighi di potere, dove la più oscura delle Lady ordiva, con l’amato marito, una trama di morte condita “della più feroce crudeltà”. L’ambizione ha unito Macbeth a sua moglie gettando le basi di un connubio fatale, che porterà lei al suicidio e lui alla decapitazione. Un’altra delle navi alla deriva, giunse forse alle coste di Cipro, dove l’amore più ingenuo e solare era sbocciato tra il Moro e Desdemona. Felici, appassionati, cadranno vittima degli intrighi invidiosi di Iago che, buon viso a cattivo gioco, manipola Otello con estrema facilità, suscitando in lui un profondo tormento: “Oh, guardatevi dalla gelosia, mio signore. È un mostro dagli occhi verdi che dileggia il cibo di cui si nutre.”.
La troppo fragile fiducia, una volta incrinata, porterà le mani di Otello, strette, sul collo di Desdemona. Non in modo diverso, l’amore ha preso di mira anche Antonio che, ormai condannato a risarcire Shylock di quella libbra che l’ebreo pretende dal cuore, si rassegna a morire esternando un’ultima volta il suo sentimento: “Dammi la tua mano Bassanio, addio, […]/ Ricordami alla tua onorata sposa / raccontale qual processo ebbe la fine d’Antonio /dille che t’amai, lodami nella tua morte”. Naturalmente questa è una commedia, e giungeranno gli eventi a felici epiloghi. Rimarrà però forse solo l’amarezza, negli occhi di Antonio, che festeggia l’unione di Porzia e Bassanio, vittima inerme di quell’amore che, a quanto pare, non paga mai.
pubblicato sul numero 22 della Falla – febbraio 2017
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