Vuoi far arrabbiare un incel? Ricordagli che il film cui si ispirano le sue teorie maschiliste è stato girato da due donne trans.

Le sorelle Lily e Lana Wachowski, infatti, hanno scritto e girato Matrix ben prima di fare coming out e iniziare il loro percorso di transizione, ma quel film – con le sue atmosfere cyberpunk e le sue metafore sulla trasformazione del proprio io come evoluzione personale attraverso la distruzione della sottile membrana che separa la propria percezione del reale dalla vera realtà – può essere letto anche come un velato coming out delle sue stesse autrici, suggerendo che una chiave di lettura queer può essere rintracciata anche nelle avventure di un protagonista maschio cis etero, al di là del simbolismo più palese e immediato e in virtù di un principio di morte dell’autore che, nel caso di Matrix, viene addirittura contraddetto, perché le autrici in questione – lo hanno dimostrato anni dopo – sono queer.

Certamente, la sceneggiatura del film non è stata scritta con in mente l’esatta intenzione di mettere in scena un’allegoria della condizione trans*, ma è al contempo innegabile che le condizioni di vita delle sue autrici, l’essere due persone trans* ancora non dichiarate, ha influito sui sentimenti che hanno portato a scrivere Matrix e le tematiche che sono confluite al suo interno, dal senso di oppressione indotto dalla società al rifiuto del capitalismo e del corporativismo. Che la pillola rossa sia stata espressamente pensata come metafora del progesterone o meno poco importa, perché non è la citazione dei pasticcini di Alice nel Paese delle meraviglie a fare la differenza. Ciò che importa è il sentirsi un outsider di Neo, il suo vivere davvero solo di notte nascondendosi dietro un’identità fittizia, la scelta di ribellione agli ingranaggi repressori e la volontà di esplorare un corpo nuovo, diverso, più reale.

Che Matrix sia stato sfruttato dalla mitologia incel è una conseguenza comprensibile, perché immedesimarsi nella parte oppressa, senza comprenderne tutte le esatte implicazioni, è sicuramente più facile che riconoscersi nell’oppressore. E perché, al netto di tutto, il senso di rabbia, per un motivo o per un altro, è comune. Altrettanto comprensibile è che Lana e Lilly Wachowski abbiano di conseguenza accentuato la presenza di tematiche queer all’interno dei loro lavori successivi, culminata nella produzione tra 2015 e 2018 della serie Sense8, in una legittima presa di distanze non tanto dalla loro opera di maggior successo quanto dal suo fandom. O meglio, da quella frangia di fandom che volontariamente o meno ignora chi c’è dietro quella storia che tanto adora.

A proposito, lo sapevate che il primo film firmato Wachowski (Bound, 1996) ha per protagonista una lesbica butch?

Immagine in evidenza: unsplash.com/it