«Megghiu nu figghiu mortu ca puppu». Meglio un figlio morto che frocio. È questa la condanna definitiva, sussurrata eppure così assordante, che la gente di Giarre, familiari inclusi, fece cadere sul venticinquenne Giorgio Agatino Giammona e sul quindicenne Antonio “Toni” Galatola, trovati uccisi a Giarre il 31 ottobre 1980. Fu chiaro fin da subito che non si trattò di un omicidio qualunque, ma del brutale assassinio di una coppia di giovani omosessuali. I due ragazzi, infatti, furono trovati quasi abbracciati e mano nella mano, all’ombra di un pino marittimo appena fuori dalla cittadina siciliana. Le ipotesi in campo, alimentate da una stampa sempre ghiotta di delitti, esplosero in mille congetture. Le indagini, poi, furono condotte alla bell’e meglio e presto il tragico evento divenne un cold case. Ma la storia di Giorgio e Toni, la loro uccisione, non meritava – e non merita nemmeno oggi – di passare inosservata.
L’opinione pubblica ne fu profondamente scossa. Per la prima volta, tramite la stampa, la società italiana guardò un omicidio di ragazzi gay non come una «torbida vicenda» – come spesso accadeva quando si parlava di «invertiti», puntando i riflettori sulla presunta devianza sessuale dei soggetti – ma concentrandosi sullo stroncamento di un rapporto amoroso, condannato e discriminato dalla società stessa.
È su quest’idea, inusitata per l’Italia dell’epoca – un Paese che, è bene ricordarlo, agli inizi degli anni Ottanta era ancora profondamente retrogrado e omofobico – che il cosiddetto delitto di Giarre funse da spinta propulsiva per la nascita e il rafforzamento dei primissimi collettivi LGBTQ+ nazionali. Sotto questa luce Francesco Lepore, autore di Il delitto di Giarre (Rizzoli, 2021), lega indissolubilmente il destino – e l’eredità – dell’evento giarrese alle numerose battaglie del movimento LGBTQ+ italiano.
L’omocidio di Giarre (per usare un termine caro ad Andrea Pini) non ne fu la causa, ma un evento «catalizzatore di fatti». Ed è su questo aspetto che il libro di Lepore appare in tutta la sua interessante originalità: non si tratta di un semplice reportage di cronaca nera, ma di un prezioso documento di verità storica, capace di mettere in luce come anche la storia di Giorgio e Toni – non storia di morte, ma storia d’amore – contribuì positivamente a smuovere le coscienze, guidando il linguaggio della società sul tema che, intanto, iniziava a parlare di un amore normale tra due ragazzi assolutamente normali.
Francesco Lepore è giornalista per Linkiesta, dove cura anche un blog di notizie in lingua latina. Attivista ed ex sacerdote della Chiesa cattolica, si occupa principalmente di temi afferenti al Vaticano, diritti umani e mondo LGBTQ+.
Immagine 2 di Gianni Cipriano da www.nytimes.com
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