UN’AUTRICE DIMENTICATA DAL CANONE
Se, con un po’ di spirito critico e voglia di avventura, ci approcciamo al canone letterario come a un prodotto patriarcale, e andiamo alla ricerca di quelle figure scartate dai nostri manuali di letteratura, non tanto perché di scarso valore letterario, quanto perché non conformi alla norma, possiamo trovare ricchi tesori nascosti. Alba de Céspedes è tra questi: partigiana, giornalista e scrittrice, è stata una delle donne più interessanti del XX secolo, eppure tutt*, o quasi tutt*, l’hanno dimenticata.
«Non so immaginare la mia vita senza la scrittura perché non c’è stata mai vita per me senza scrivere». Nella sua lunga carriera de Céspedes si è cimentata in qualsiasi forma narrativa: poesie, racconti, romanzi, sceneggiature. Il suo primo romanzo Nessuno torna indietro, pubblicato nel 1938, incontrò da subito l’opposizione del regime, che tentò invano di censurarlo, poiché proponeva una visione della donna completamente estranea a quella del fascismo.
I rapporti tra de Céspedes e il fascismo si incrinarono sempre di più fino a quando, dopo l’armistizio, scappò da Roma e si unì alla Resistenza, prestando la propria voce ai programmi di Radio Bari, sotto il nome di Clorinda. Proprio in questo periodo nasce il suo secondo romanzo, destinato a fare tanto successo quanto scalpore, Dalla parte di lei. Nel romanzo de Céspedes esprime la propria frustrazione e quella di tante altre donne durante il secondo dopoguerra, frustrazione che nasce non solo dal mancato riconoscimento del proprio ruolo nella Resistenza, ma anche dalla mancanza di una vera e propria emancipazione femminile, tanto sognata durante gli anni della guerra.
Qual è il modo giusto per raccontare una storia? Da dove cominciare per raccontare la vita di una donna? Può sembrare banale, ma il miglior modo è cominciare dall’inizio: Alessandra, protagonista del romanzo, racconta la propria vita sin dall’infanzia nella Roma fascista per poter giustificare «l’efferatezza» compiuta in età adulta poco dopo la liberazione della capitale. Il gesto drammatico è il motore della narrazione, anche se scopriremo di cosa si tratta solo nel finale del romanzo. Ne risulta un testo ricco, dalla narrazione fluida, che devia più volte in excursus e monologhi interiori, guidato dal flusso di coscienza dell’io narrante. Dalla parte di lei è «una lunga memoria […] perché infinitamente lunga è, giorno dopo giorno, ora dopo ora, anche la breve vita di una donna» e, aggiungerei, è una memoria lunga perché racconta la versione per troppo tempo taciuta di una storia e della Storia.
Nell’Italia fascista di Alessandra regna la separazione dei generi: uomini e donne sono due mondi in guerra, incapaci di comunicare. Se i primi regnano, le seconde sono condannate all’immanenza, per citare Simone de Beauvoir, di cui de Céspedes era amica. Intrappolate nei ruoli di moglie, madre e casalinga, Alessandra e tutte le donne di questo romanzo – molte, e di varie generazioni – cercano in ogni modo di autodeterminarsi, di trovare il mezzo per rompere l’eterna quotidianità in cui si trovano.
Per Alessandra autodeterminarsi vuol dire amare: segnata dal suicidio della madre, trauma che dall’infanzia si ripercuote nell’età adulta, per tutta la lunga narrazione la protagonista non cerca altro che l’amore. Una volta sposata con Francesco, si rende conto che l’amore non è che un sogno, un’illusione, e la passione dell’innamoramento sfuma presto nel grigiore dei doveri familiari. Il marito si unisce alla Resistenza, promettendole che una volta vinta la guerra tutto cambierà, ma nonostante Roma venga liberata nulla cambia.
Il tentativo, a tratti disperato, del coronamento del «sogno d’amore» può far apparire Alessandra come un personaggio bidimensionale, quando in realtà è stato definito a ragione uno dei personaggi più complessi della letteratura italiana contemporanea. Attraverso Alessandra, de Céspedes racconta la vita di più generazioni di donne italiane, oppresse da una società che impediva loro di scegliere.
Dove sta la scelta quando sin da bambina ti insegnano che il tuo unico mezzo di realizzazione è il matrimonio? Questa una delle tante domande che de Céspedes pone: senza mai diventare didascalica, senza mai sostituire la propria voce a quella di Alessandra, nel corso del romanzo l’autrice critica la società patriarcale tutta, e in particolare la letteratura, complice di aver costruito quell’amore ideale e romantico che inganna troppe persone.
Una volta che il sogno s’è rivelato incubo è troppo tardi per cambiare le cose, e qui sta la profondità di un personaggio come Alessandra. La vita le insegna che il matrimonio, in cui sperava di trovare l’affetto e il riconoscimento che tanto desidera, non è nient’altro che una vuota istituzione. Eppure le si presentano nuove forme d’amore, delle vie di fuga: Tomaso, partigiano che la ama come un marito dovrebbe; Fulvia, l’amica d’infanzia verso cui Alessandra prova un affetto che difficilmente potrebbe essere definito amicale.
De Céspedes scrive un personaggio complesso, definito «queer antelitteram» per il modo in cui mette in luce e decostruisce gli stereotipi di genere. Nonostante ciò, nella lotta tra norma e devianza da essa, vince la prima: Alessandra non lascerà mai il marito, non ammetterà mai gli inganni della società. Così la lunga attesa della felicità, prima segnata dalla speranza, diviene preda di una rabbia e di un rancore sempre più violenti, consapevoli di un inganno subito dal patriarcato.
In Dalla parte di lei de Cèspedes, definitasi «profondamente donna», racconta una storia fortemente femminile senza però aderire all’ideale – sempre patriarcale – del femminile come antitetico al maschile, ma ancorando l’esistenza di Alessandra a quel che diverse donne, magari le nostre nonne, avrebbero veramente vissuto.
Immagine in evidenza da Archivi della Resistenza Fondazione Gramsci
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