Si parta da un assunto: per noi come comunità (laddove esistano), ma soprattutto come abitanti dei movimenti, un Papa buono non esisterà mai. Così come ci farà sempre storcere il naso la dicitura “Progressista” accanto a qualsivoglia esponente di una struttura ecclesiastica che non potrà mai accogliere la nostra complessità politica, per non parlare della nostra esistenza. Pur tuttavia, sganciando per un attimo le parole dall’uso che ne facciamo abitualmente, e adottando una prospettiva di analisi di politica estera rispetto al Vaticano, qualcosa di progressista nella chiesa degli ultimi anni c’è stato. Un processo trasformativo che è partito già sotto Benedetto XVI e che ha portato all’elezione di Francesco. Due Papi scelti in un contesto geopolitico apparentemente pacificato, mentre oggi così non è.
Per quanto atee, agnostiche o anticlericali non possiamo ignorare l’importanza che il conclave cui stiamo per assistere assumerà su scala mondiale, né l’impatto che avrà o potrà avere sulle nostre vite e sulla società, occidentale e non. Si tratta dell’elezione papale politicamente più rilevante dai tempi di Giovanni Paolo II, Wojtyla, il polacco nominato in piena Guerra Fredda. Basti pensare a quanto la figura di Francesco sia riuscita a catalizzare un rinnovato consenso popolare a partire dall’ombrello fornito alle frange sociali più pacifiste (che frange poi non sono, stando ai sondaggi); come anche l’importante esposizione per il cessate il fuoco a Gaza. Qualcuno in merito potrebbe parlare di eterogenesi dei fini, ma rimane che posizioni condivisibili da gran parte dei movimenti sono state anche sulle labbra di Bergoglio.

La domanda oggi inevitabile è legata alla direzione che la Chiesa sceglierà di darsi per gli anni a venire. Tra le guerre in corso e i nazionalismi di stampo più o meno fascista dilaganti, il Conclave imminente ha probabilmente molte gatte da pelare, come si può notare già dal totonomi scatenatosi a febbraio, con il ricovero per polmonite del pontefice. Tra i soliti vecchi teologi conservatori (come il tedesco Gerhard Müller, tra i più importanti oppositori di Francesco) e gli eredi plasmati dalla costola di Bergoglio (come il brasiliano De Rocha o il filippino Luis Antonio Tagle) spuntano candidature che potrebbero scompaginare le carte. Ne sono esempio due cardinali reduci già dal precedente conclave, e già oggetto di speculazioni sulla papabilità: il guineiano Robert Sarah e il congolese Fridolin Ambongo Besungu. Ambedue esponenti del cosiddetto blocco africano, siamo di fronte a due cardinali che si sono ampiamente esposti su posizioni anti coloniali, anti liberiste e critiche rispetto a quello che comunemente chiamiamo occidente. L’eventuale nomina di uno di loro due, o di un candidato da loro sostenuto, potrebbe da un lato essere percepita come in continuità rispetto alla linea di politica estera del papato di Francesco, rimanendo apparentemente invisa a Trump e ad altri leader occidentalisti, ma dall’altro accontentare i malanimi rispetto alle (presunte) aperture di Bergoglio in merito ad esempio all’omosessualità e al ruolo delle donne. Besungu e Sarah, infatti, hanno capeggiato i vescovi africani nella scrittura di una lettera aperta al Papa contro il Fiducia supplicans (documento che apriva alla possibilità di benedire coppie in una relazione omosessuale monogama e stabile) e hanno più volte criticato non solo la cosiddetta teoria gender, ma la decadenza dei costumi occidentali anche rispetto allo scardinamento dei ruoli di genere ai danni della famiglia tradizionale. Per intenderci sul livello, Besungu ha più volte dichiarato che l’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’UNICEF diffondono la cultura “LGBT” in Africa grazie al ricatto dei finanziamenti. Ciò non di meno, sappiamo bene quanto possano risuonare in noi i temi dell’anti colonialismo e dell’anti liberismo.
A onor del vero, oltre a Besungu e Sarah, sembra che i candidati papabili più moderati scarseggino nell’attuale panorama. Qualche italiano (ma si spieghi a Zuppi che non ce la farà mai), qualche francese, qualche statunitense. I nomi non sono poi pochissimi ma allo stato attuale delle cose, come d’altronde già da tempo, sembra che questa elezione si giocherà fuori dall’Europa, ma pure fuori dagli Usa, su temi che ormai le guerre in corso e la crisi economica globale hanno reso più che evidenti. C’è da dire che sui temi più squisitamente identitari che come persone LGBTQIA+ attraversiamo, sembra che all’unisono gli attuali possibili candidati promossi dai giornali la pensino allo stesso modo, non che la cosa sorprenda.
D’altro canto si sa, al conclave chi entra Papa esce cardinale, e con ogni probabilità ci saranno altri nomi e altre spinte. Tuttavia, non potendo ovviamente incidere, occorrerà tenere gli occhi ben aperti sul prossimo papato, a quanto pare pronto a stupirci, probabilmente in peggio. Nel frattempo prepariamoci a un 25 aprile che secondo il Governo andrà celebrato «con la sobrietà che la circostanza impone», considerati i cinque giorni di lutto nazionale istituiti. Forse la scelta più sobria sarebbe stata non imporre questo lutto in un Paese laico ma, in fondo, quale migliore opportunità per Meloni di smarcarsi dalla sua ricorrenza preferita.
Immagine di copertina da ilmeteo.it
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