María Irene Fornés è la Madre Avanguardia del movimento Off-Off-Broadway di New York: nei suoi quarant’anni di attività ha scritto opere teatrali tanto innovative e importanti da far parlare del teatro americano di fine ventesimo secolo come diviso tra prima Fornés e dopo Fornés. The Rest I Make Up, primo documentario di Michelle Memran, non si limita a raccontare la vita di Irene, ma ci permette di viverla e riviverla insieme a lei. Memran la segue per due anni, tanto nella sua vita quotidiana che in uno dei suoi ultimi viaggi a Cuba, per poi lavorare sulle centinaia di ore di filmati per altri quindici anni. Lo completa nel 2018, anno in cui Irene muore.
Fornés – che dice, fin da subito, di volere che la si chiami solo Irene – affida il racconto della sua vita a Memran in quanto sua confidente, e regala alla sua telecamera tutto ciò che riesce a ricordare. Nel 2003, anno in cui Memran comincia a girare il documentario, Irene soffre da anni di Alzheimer. Dice di voler continuare a scrivere, ma di non ricordarsi più come si fa. Ogni volta che parla, però, sembra di ascoltarla mentre compone una poesia: non smette mai di tentare di creare arte, è orgogliosa di chiamarsi e farsi chiamare artista.
Le riprese oscillano tra diverse città, specialmente tra New York e La Habana, le due case di Irene. New York è anche la sua più forte ispirazione, il posto dove tutti la conoscono, dove in moltissimi sostengono che si meriterebbe di essere molto più conosciuta e apprezzata di quanto non sia. La Habana è la sua infanzia, e ad aspettarla è il resto della sua famiglia e tanti ricordi che la malattia non è riuscita a cancellare: durante la loro intera permanenza fa da cicerone a Memran, tenendola per mano.
È proprio all’Habana che parla per la prima volta della donna a cui tutti la associano: Susan Sontag. Irene la chiama l’amore della sua vita e fa fatica a parlare della loro relazione, perché non vuole piangere davanti alla telecamera. Il modo in cui reagisce quando parla della sua sessualità è, invece, perfettamente agli antipodi. Ammette con tranquillità che la sua scelta di non nascondersi non è stata facile, e che non avrebbe potuto comportarsi allo stesso modo a Cuba senza distruggere la propria carriera e la propria vita.
Il collage di video e foto che cerca di racchiudere in 79 minuti la vita di Irene Fornés è punteggiato da scene in cui non riesce a ricordare dov’è o cosa sta facendo, in un crescendo che la porta a dimenticarsi, alla fine del documentario, perché Memran sia con lei o quando debbano vedersi. La determinazione con cui Irene non si ferma davanti alla malattia al contempo spezza il cuore e permette al film di essere una celebrazione della vita e dell’arte.
È un film da vedere, anche se non si è interessati al panorama teatrale di Broadway: come le opere di Irene, esplora la psiche e lo scopo dell’esistenza umana votata all’arte.
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