(Usa, 1998, 60’)
Il docufilm di Barbara Hammer si apre con un’emozione: le foto di Alice Elizabeth Austen (1866-1952) una fotografa straordinaria che abitava in una casa fatta costruire nel Seicento a Staten Island, uno dei distretti di New York, chiamata Clear Comfort. Foto dirompenti di ragazze e donne travestite da uomo o in abito lungo, con amici gay, a letto in due o anche in tre, con camicie da notte a bit proustiane che fanno pensare al mondo lesbico e queer pullulante nella Recherche, lesbiche rocciatrici, nuotatrici, canottiere, lesbiche in gruppo al mare o al pic-nic…
Oggi la casa di Alice Austen è diventata un museo grazie alle battaglie di cittadini coscienziosi che nel 1960 hanno recuperato la casa, il parco e il giardino. Tuttavia permane sia nella cittadinanza che in alcuni media il luogo comune lesbofobo che l’artista sia da definire “fotografa” senza parlare della sua sessualità, riducendo l’importanza cruciale di una vita lesbica tra fine Ottocento e prima metà del Novecento a mera vita privata, da celare.
Il museo come closet, appunto.
Sull’emergere della dimensione lesbica nella storia delle artiste e sulla rimozione o misconoscimento di questa nell’impostazione museale, nei media e fra la cittadinanza mainstream si snoda tutto il docufilm di Barbara Hammer, passando da Alice Austen all’artista e performer dadaista Hannah Höch alla contemporanea newyorkese Nicole Eisenman. I lavori di quest’ultima sono un vero godimento pop e trash dotato di una forza espressiva oltre i canoni dei generi, dove il corpo lesbico queer emerge e letteralmente buca lo schermo.
Barbara Hammer, infine: un genio lesbico da poco scomparso, che mancherà a tutta la lesbian nation mondiale. Miss you.
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