Gender Bender Festival ci regala una pellicola d’eccezione, presentata al 66th Berlin Internatonal Film Festival per la regia di E J-yong: The Bacchus Lady. Un viaggio nell’affascinante e poco conosciuto mondo delle Bacchus Ladies, prostitute coreane che rivolgono le loro attenzioni in particolare a uomini anziani.
Una donna non più tanto giovane si avvicina a un signore in un parco, imbastisce una conversazione e, a un certo punto, chiede sorridente: “Posso aprire per lei una bottiglia di Bacchus?” (un energy drink molto diffuso in Corea). Questa è la procedura standard con cui le Bacchus Ladies avvicinano i clienti ed è anche il copione di ogni giorno della vita di So-Young. Un’anziana prostituta insomma, figlia di una realtà difficile come quella della Corea del Sud, è la protagonista di questa pellicola.
Con un portamento ricco di riserbo e colmo di dignità, So si aggira per i parchi ed elargisce piaceri ad anziani signori che spesso non sembrano, a dire il vero, meno emarginati di lei. Uno strano evento si insinuerà nella sua routine: recatasi dal medico per una nascente gonorrea, la protagonista assiste, dopo la visita, a una discussione tra una donna filippina e il medico stesso, che culminerà con una stilettata di forbici nel petto di lui e l’intervento della polizia. Uscendo, So inciampa nel figlio della filippina che, ormai solo, suscita la sua pietà al punto da convincerla a portarlo a casa per occuparsi di lui malgrado le difficoltà con cui già convive.
Così il bambino, che non parla coreano, si troverà a vivere in una strana corte di tre appartamenti: uno della transessuale e bellissima proprietaria, uno di un giovane squattrinato con una protesi in una gamba e l’ultimo appunto della protagonista. La pellicola scorre lenta, ma mai noiosa, tra scene di non convenzionale vita familiare e lunghe passeggiate nei parchi in cerca di incontri. Tutta la ritualità convenzionale dei rapporti, tipica dell’Oriente, tra i clienti e la protagonista, si scontra con la crudezza delle scene di sesso, che non ci vengono risparmiate, in motel squallidi e spesso visitati dalla polizia.
Il ritorno di un vecchio cliente, ormai non più in grado di fare l’amore, crea uno spazio inatteso per lunghe chiacchierate, all’ombra di giardini meravigliosi, circa la vecchiaia e l’ineluttabilità della solitudine che ne deriva. Nell’alveo di una di queste conversazioni So apprende che il dandy, un suo vecchio habitué, si trova in ospedale a seguito di un ictus e decide di iniziare a fargli visita. Da qui acquisteranno movenza le riflessioni più profonde della pellicola che spinge a ragionare in particolare del concetto di dignità personale. Le conclusioni che ne trarrà la protagonista guideranno una serie di azioni che porteranno all’epilogo delle vicende.
Ognuno di noi, sembra ci venga detto, dovrebbe aver diritto di disporre della propria vita liberamente e senza subire il giudizio degli altri o il peso della vergogna; soprattutto perché spesso non si ha scelta. La fortuna potrebbe essere davvero quella di trovare qualcuno disposto ad aiutarci, qualcuno che possa creare uno spazio di intimità tale da darci la forza di prendere difficili decisioni. So-Young, grazie alla magnifica interpretazione di Yeo-jeong Yoon, trasmette tutto questo. Con passi decisi, mossi dalla compassione, e uno sguardo colmo di malinconica consapevolezza, ella dispenserà favori inattesi e di grande valore.
Un film profondo, dalle tinte grottesche, ci regala questa storia meravigliosa che in una scena che ricorda, se non addirittura cita, La mala educación, ci mostra la Sara Montiel di turno, in un locale di drag queen, esprimere quell’incognita circa il futuro e ciò che ci aspetta: “Quizás, quizás, quizás!”.
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