STEREOTIPI DI GENERE NEI LIBRI DI TESTO

Qualche mese fa, un’insegnante di scuola primaria che ho incontrato durante un percorso di formazione sull’educazione al genere e alle differenze mi ha mandato la foto di un libro di testo adottato nella sua scuola, con il lapidario commento: siamo ancora messe così! Si trattava di un testo di grammatica dove l’elisione degli articoli indeterminativi davanti ai sostantivi che iniziano per vocale veniva spiegata pressappoco così: l’articolo una è una femminuccia, per cui spesso piange e allora si mette una lacrimuccia tra l’articolo e la parola; l’articolo uno, invece, è molto forte e non piange mai, per cui non ha bisogno di apostrofo. 

Vi sembra incredibile che nel ventunesimo secolo si ricorra ai più beceri stereotipi di genere per spiegare le regole grammaticali alle scuole elementari? Non avete ancora visto niente. È di fine settembre, infatti, l’episodio di una casa editrice specializzata in testi per l’apprendimento dell’italiano come lingua seconda (quelli che si usano principalmente con le persone migranti, per intenderci) dove, in un esercizio sulla comprensione del testo, le opzioni disponibili per una donna per appianare le liti con suo marito erano: «passare più tempo in cucina», «vestirsi più sexy», «rispondere sempre di sì», «essere più sottomessa», «preparargli il caffè la mattina», «lasciarlo più libero». 

Non credo che questi due esempi siano rappresentativi di tutta l’editoria scolastica, tuttavia la strada per costruire materiali di supporto alla didattica che, se anche non educano proprio alle differenze, almeno non rinsaldino l’ordine patriarcale, è indubbiamente ancora molto, molto lunga.

Le ricerche restituiscono una fotografia dell’industria libraria scolastica parecchio sconfortante. I libri di testo usano un preciso lessico simbolico del femminile e del maschile che assegna spazi, emozioni e ruoli ben distinti ai due generi: da un lato personaggi femminili quasi sempre ritratti all’interno dello spazio domestico, incaricate dei lavori di cura, raramente coinvolte nel mercato del lavoro o protagoniste di un’avventura; dall’altro lato, personaggi maschili in poltrona a leggere il giornale o impegnati in attività tecniche, assenti nei rapporti di cura ed educativi con i/le figli/e, e proiettati nel mondo pubblico e professionale.

Neanche a dirlo, nei libri di testo i protagonisti e le protagoniste sono sempre eterosessuali e cisgender, sono quasi sempre persone sposate o in coppia, sono nella gran parte dei casi bianchi/e.

L’aspetto più sconfortante è che l’editoria scolastica – a differenza dell’editoria non didattica per l’infanzia e l’adolescenza – sembra un ambito particolarmente resistente al cambiamento: se infatti la prima fotografia è quella fornita dal progetto Polite (Pari Opportunità nei LIbri di TEsto), promosso nel 1998 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Pari Opportunità e realizzato con la collaborazione dell’Aie (Associazione Italiana Editori), la pedagogista Irene Biemmi è arrivata a conclusioni molto simili con una ricerca pubblicata nel 2012 dal titolo, appunto, Stereotipi sessisti nei libri delle elementari

Si potrebbe obiettare che i libri di testo hanno una funzione didattica e che quindi è abbastanza indifferente se per spiegare le addizioni si fa sempre andare la mamma al mercato a comprare la frutta, mentre del papà si contano i chilometri percorsi in auto per andare da una città all’altra. L’importante è che si impari a fare di conto. Nell’imparare a fare di conto, però, bambini e bambine imparano sottobanco le regole dell’ordine di genere, le imparano da una fonte autorevole – la scuola – e in maniera aproblematica, poiché vengono presentate come l’unica normalità possibile.

Attendiamo con ansia una casa editrice coraggiosa che insegni a contare con storie di personaggi femminili che comprano biglietti aerei per destinazioni esotiche e spieghi la grammatica italiana mettendo in discussione il sessismo.

Pubblicato sul numero 50 della Falla, dicembre 2019