Abitiamo anni di privazione addizionale. Alla repressione delle nostre sessualità o non sessualità e alla negazione delle nostre identità di genere, la pandemia aggiunge la sottrazione dei corpi e degli spazi comuni di azione politica. Ci siamo ri-scoperte nude, sole, atomizzate. Il 2020 è stato l’anno dell’assenza del Pride o quantomeno della sua riconversione in soluzione omeopatiche, necessarie per dirci che esistiamo ma rivoluzionarie fino a un certo punto.
Eppure, il 2020 è stato un anno di semina importante. Nella composita dimensione LGBTQI+ bolognese abbiamo assistito alla staffetta di tre piazze significative – Non Una Di Meno Bologna (NUDM), B-Side Pride e Comitato Pride -, esperienza prodromica all’odierna settimana transfemminista.
Affinché sia davvero rivolta, dovremo continuare a stringerci così e recuperare insieme l’utopia e la sua fine, come Marcuse ci ha insegnato. Perché sia davvero rivoluzione, occorre ibridarsi con tutti i poteri e corroderli nelle nostre intimità pubbliche, in un Pride quotidiano e costante. Facciamo in modo che siano le puttane a decidere di welfare, dirigano la salute pubblica le sierocoinvolte, facciamo amministrare i quartieri alle sgomberate, prendiamoci tutte le scuole e diamole in mano alle frocie, le persone con disabilità riprogettino la città e le escluse di ogni ordine e grado siano sindache e assessore. Se vogliamo la rivolta contagiamo tutto e facciamo sì che non un singolo spazio di Bologna sperimenti l’assenza delle nostre soggettività.
Perseguitaci