di Alice Chiarei e Sara Visintin, Associazione Donne In Strada
in collaborazione con Lesbiche Bologna
«Ci sono differenze tra un Paese e un altro, tra una cultura e un’altra e tra una militanza e un’altra, ma insieme con le nostre diversità possiamo creare una lotta più forte e una connessione tra tutte queste lotte». Yasmine chiude così il suo intervento all’assemblea nazionale di Non Una Di Meno verso la manifestazione per il 25 novembre, Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza (maschile) contro le donne.
Lo dice in collegamento da Gaza, dov’è appena rientrata dopo un mese di incontri e dibattiti in Italia con altre due compagne gazawe, Randa e Rasha. Un mese che per tutte è stato una contaminazione e uno scambio di pratiche di resistenza quotidiana alla violenza di genere e che anche noi a Bologna come associazione Donne In Strada abbiamo potuto ospitare.
Da sempre, le donne a Gaza devono affrontare tre diverse forme di violenza sui loro corpi: quella dell’occupante israeliano, quella religiosa fondamentalista di Hamas e quella patriarcale radicata in ogni aspetto del quotidiano. Violenze che spesso si intersecano, amplificando il grado di oppressione.
L’ingresso nella Striscia di Gaza può essere una simbolica rappresentazione di questo grado di controllo e oppressione. Israele, l’Autorità Palestinese e il governo di Hamas: tre lembi di terra da superare per poter entrare dentro quella porzione di Palestina diventata una prigione a cielo aperto.
La Striscia di Gaza comprende un territorio di circa 360 k㎡, all’interno del quale vivono più di due milioni di abitanti che, salvo rarissime eccezioni, non possono uscire nemmeno per recarsi nel resto della Palestina, oramai composta dalle città bantustan della Cisgiordania.
L’occupazione israeliana, iniziata in modo massiccio nel 1948 a seguito della Nakba (catastrofe, in arabo), ha eroso e modificato i confini della Palestina sino ad avere di fatto un controllo totale sul territorio, compreso quello teoricamente sotto il governo dell’autorità palestinese.
Nello specifico della Striscia di Gaza, i confini sono totalmente controllati da Israele, tranne che a ovest, controllato dall’Egitto, e sono completamente recintati da un muro di segregazione, reti elettrificate e barriere di acciaio. Lo sbocco sul Mar Mediterraneo è chiuso oltre le sei miglia marittime, superate le quali la marina militare israeliana spara. Un confine così vicino che è possibile vedere le luci dei pescherecci a occhio nudo e sentire gli spari contro chi lo supera.
E come in una prigione, qualsiasi bene essenziale è concesso da chi quel carcere lo gestisce. L’accesso all’acqua, l’approvvigionamento energetico e la circolazione di generi alimentari sono controllati da Israele. Il blocco aereo, terrestre e marittimo e i ripetuti bombardamenti degli ultimi anni hanno prodotto effetti devastanti nei settori sanitario, economico, scolastico, lavorativo.
In questo contesto precario, sotto minaccia continua e senza alcuna prospettiva di autodeterminazione, si inserisce Hamas, il partito fondamentalista islamico, che dal 2006 governa la Striscia di Gaza imponendo forti limitazioni alle libertà personali.
La condizione di guerra continua porta altri Stati islamici, tra i quali per esempio il Qatar e l’Arabia Saudita, a investire grosse risorse di denaro per la ricostruzione di infrastrutture o altri servizi essenziali, con importanti conseguenze. Questo legame economico infatti condiziona ancora di più scelte politiche di controllo e restrizioni delle libertà fondamentali, a partire dai diritti di autodeterminazione delle donne. La guerra, come sempre, si gioca sul corpo delle donne e la violenza di genere raggiunge livelli maggiormente preoccupanti. Sono le donne a caricarsi il peso della gestione famigliare, perno centrale della società palestinese. Spetta a loro il lavoro di cura e spesso significa la perdita di una qualsiasi possibilità occupazionale. Sebbene a Gaza il tasso di scolarizzazione sia ancora molto alto soprattutto tra le donne, le possibilità di trovare lavoro sono molto limitate.
Da sempre le donne palestinesi hanno resistito a tutte queste forme di oppressione, riunendosi e auto organizzandosi in cooperative, associazioni, organizzazioni sindacali, sociali e culturali. Non hanno mai smesso di confrontarsi fra loro, anche su posizionamenti diversi, e di costruire ponti di scambio politico con le donne della Cisgiordania.
Questo lavoro di rete e sorellanza tra le donne palestinesi ha portato alla realizzazione del primo Forum Donne di giugno 2022. Qui, con la partecipazione di più di duecento donne al giorno, le associazioni e le varie realtà femminili e femministe in collaborazione con il Progetto Donne del Gaza FreeStyle si sono trovate per tre giorni di scambio e dialogo su tematiche legate alle diverse forme di violenza e di patriarcato presenti nella società gazawa. Dal 2017 a oggi, il Progetto Donne, a partire dai bisogni espressi dalle organizzazioni delle donne di Gaza, ha organizzato periodi di scambio e laboratori su sessualità, corpo, violenza.
Alla conclusione del Forum Donne si è deciso di lanciare ufficialmente un altro ambizioso progetto per non perdere le relazioni e le reti che si sono create e per creare una sinergia di forze: la costruzione della Casa Internazionale delle Donne a Gaza City.
Il progetto ha più obiettivi, da un lato l’interesse è quello di costruire un luogo sicuro con punti di ascolto e di supporto psicologico contro la violenza maschile, spazi di autodeterminazione, di elaborazione artistica e culturale e di pratica sportiva; dall’altro quello di creare uno spazio virtuale di scambio politico con le donne della Cisgiordania e con movimenti e organizzazioni di altri Paesi. Per questo motivo nel mese di ottobre è stato organizzato il tour di incontri in Italia con le tre compagne gazawe Rasha, Randa e Yasmine. La consapevolezza è che l’unico modo per uscire dalla violenza è costruendo reti, amplificando «le grida di chi non ha più voce» ed elaborando in modo collettivo pratiche di resistenza quotidiana alla violenza patriarcale.
La creazione di spazi transterritoriali e transnazionali per rafforzare l’autodeterminazione delle donne, soprattutto in un periodo come questo in cui i venti di guerra soffiano sempre più forti, è un tema cruciale anche per il 25 novembre.
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Causale: CASA INTERNAZIONALE DELLE DONNE A GAZA
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