in collaborazione con Lesbiche Bologna
Ho sempre adorato il Carnevale, quella per i travestimenti è proprio una passione che mi porto dietro fin da bambina, fin da quando i miei genitori mi vestivano da Biancaneve, o anche da abat-jour, o da forchetta… non si può dire che non fossero genitori originali e ho addirittura vinto diversi premi.
Del Carnevale ho sempre amato le commedie tradizionali nelle quali il servitore furbo riusciva a farla al padrone tirchio, il contadino riusciva a sottrarre le terre al re, e tutti prendevano in giro il dotto presuntuoso: è il concetto potente del ribaltamento, della sovversione, del mondo ideale dove chi merita ha, chi non merita, alla fine, perde.
Ho così pensato che anche a me sarebbe piaciuto indossare una maschera che mi permettesse di ribaltare le convenzioni sociali, magari una di qualche “super qualcosa”, ci ho ragionato e ho pensato alla Lesbica.
La Lesbica ha di suo il coraggio, non quello a parole di Capitan Fracassa ma quello di chi ogni giorno deve affermare con forza la propria identità rompendo gli schemi sociali che le sono appiccicati fin da piccola dalla società patriarcale eteronormata, quelli per cui la lesbica è prima di tutto una donna e come tale deve comportarsi “da donna”. La Lesbica ha coraggio quando parla, quando si muove, quando sceglie come vestirsi, quando occupa spazio che le viene negato, o quando se lo crea dove non c’è. È coraggiosa quando afferma col coming out, che è un’esperienza liberatoria e potenziante, la propria identità, quando si prende il proprio posto, imponendo la propria presenza che non può e non deve essere ignorata, e che spaventa perché non riconducibile a nessuna convenzione, a nessun ruolo imposto.
La Lesbica ha l’intelligenza, non la furbizia scaltra e anche in qualche caso cialtrona di Arlecchino, ma l’intelletto di chi agisce per il bene della comunità e lotta contro le sopraffazioni che subisce nella doppia condizione di socializzata donna e omosessuale. Ed è nella comunità che la Lesbica acquista potenza, ed è un concetto che ho capito solo da poco, da quando, cioè, mi è parso chiaro che la lotta non può essere solo singola ma deve essere comune, perché comuni sono le radici di questa oppressione e solo insieme queste si possono scardinare per piantare nuovi vivai.
La Lesbica ha la parola, non lo sproloquio vuoto e saccente di Balanzone, ma il potere di un linguaggio libero che la autodetermina e la identifica con parole che essa stessa sceglie per sé. Nella comunità, nel modo di definire le relazioni, nel creare gruppi, nello scambio di vissuti la potenza creatrice del linguaggio prende forme nuove per colmare vuoti, per riempire le mancanze di qualcosa che è nato per definire altro da noi.
La Lesbica ha la gioia. Non è la risata forzata della battuta, della bastonata sul groppone di Pulcinella che ha combinato l’ennesima marachella, è la gioia pura che deriva dall’essenza di essere libera, libera di essere se stessa in una comunità di relazioni create secondo schemi nuovi, reti affettive nelle quali siamo unite da rapporti non convenzionali; è anche la gioia del sesso libero, frutto di un desiderio tra corpi non normato da schemi o rapporti di forza ma espressione del mio piacere e del piacere di chi condivide con me l’esperienza.
La Lesbica ha la ricchezza, e non ha bisogno di tenerla chiusa e proteggerla come quella sterile di Pantalone, ma anzi, la nostra ricchezza di esperienze, di relazioni, di incontri deve essere condivisa affinché possa crescere e portare frutto, è una ricchezza che cresce quanto più la disperdiamo, perché è feconda di vita.
Ho riflettuto molto su che maschera indossare per questo Carnevale, e ho deciso di non indossarne nessuna.
Non mi servono maschere. Sono Lesbica, ho già abbastanza superpoteri così.
Perseguitaci