Perché ci serve un Pride accessibile
Chi è statә a un Pride non può dimenticare la dirompente sensazione di essere fra pari, di sentirsi al sicuro, protettə. Totalmente liberə di essere sé stessə, non giudicatə, compresə. È una di quelle emozioni che non si provano tutti i giorni, che non puoi scordare, perché lasciano un segno. La consapevolezza incandescente di essere parte di qualcosa, che divampa di sguardo in sguardo, che si propaga nell’aria vibrante della marcia. È una sensazione feroce, che non si dimentica, quella di essere parte di una comunità. Purtroppo però non è cosa per tuttз, l’attivismo non è per chiunque. Gran parte della società è organizzata trattando la disabilità come un imprevisto, e la comunità LGBTQIA+ non è da meno.
Che a pensarci bene è assurdo, perché le discriminazioni subite da persone queer e disabili sono simili, la lotta è intersezionale. Una lezione che abbiamo recentemente imparato, grazie all’inclusione dell’abilismo nel DDL Zan come motivo abietto che aggraverebbe un crimine d’odio al pari di razzismo, omolesbobitransfobia, misoginia et similia – speriamo di non dimenticarcene troppo presto. Questo dovrebbe già di per sè suggerire l’importanza di aprire le porte dei Pride a tuttз з potenziali alleatз che potrebbero voler partecipare per dimostrare alla comunità LGBTQIA+ la loro vicinanza e il loro sostegno.
Si tratta di avvicinarsi, mentre solitamente la disabilità è vissuta con grande distacco, qualcosa che non ci riguarda, un pensiero da tener lontano. Ma ogni persona queer potrebbe incorrere in una disabilità, o banalmente invecchiare. Più o meno improvvisamente, rendersi conto di non poter più partecipare all’associazionismo com’è sempre stata abituata, o come vorrebbe. Da un momento ad un altro, vedersi esclusa: non a causa del proprio corpo, ma a causa di com’è organizzato il mondo in relazione a certi corpi.
Viceversa, molte persone disabili appartengono alla comunità arcobaleno, e per questo motivo vorrebbero poter sentirsene parte, proprio come chiunque altrə. Ci sono invece spesso grandi barriere, sia fisiche che culturali, che ne impediscono una piena partecipazione. Da un lato le barriere architettoniche e sensoriali sono un problema diffuso e influenzano le occasioni di incontro delle persone disabili con i membri della comunità, dall’altro le persone disabili denunciano disinteresse e distacco da parte della comunità LGBTQIA+.
Se il Pride è un’occasione per manifestare a gran voce la propria presenza e visibilità davanti a una cittadinanza che troppo spesso nasconde, ignora e silenzia la comunità LGBTQIA+, la stessa cosa dovrebbe valere per le persone disabili, che conoscono bene la sensazione di essere indesiderabili, accontentandosi di sopravvivere ai margini, lontani dagli occhi. Le persone queer con una disabilità poi, subiscono una duplice invisibilizzazione.
Chiariamo una cosa ora: la mancanza di accessibilità non è un incidente, né una dimenticanza. La non accessibilità è la triste norma delle persone disabili. È l’esempio di un problema sistemico, diffuso e generalizzato, che incontriamo sempre, quotidianamente, noi persone escluse da una società che non le prevede. Se per chi non è abituato a parlare di disabilità l’accessibilità è una scomoda scocciatura, per chi ne ha a che fare ogni giorno, è una battaglia di logoramento. Una battaglia che richiede continue energie, già sapendo che quello che chiedi non sarà compreso, che sarà preso sottogamba, o presto dimenticato. Sai che verranno avanzate prontamente scuse sulla logistica e sui costi, sulla difficoltà nell’adeguare l’ambiente o nel trovare un posto giusto. Magari chiederanno a te, persona disabile, se te ne vuoi occupare, perché si sa, non è un problema di tuttз, lз altrз non ne sanno nulla.
La verità è che, quando arriva, l’accessibilità è una concessione da parte di chi ha il potere di includerti o viceversa, tenerti fuori dai giochi. È una questione di cessione e appropriazione dello spazio. Una lotta per la presenza e per il riconoscimento, per il diritto a partecipare, per le persone marginalizzate e del loro privilegio inconsapevole, per tutte le altre.
Quindi per piacere, pensate all’accessibilità dell’evento fisico, per quelle persone con disabilità o altre difficoltà di accesso che possono e vogliono partecipare. Prevediamo percorsi accessibili per chi usa una carrozzina o altri ausili per la deambulazione. Bagni adeguati e punti di defaticamento lungo il percorso. Garantiamo punti di scarico da stimoli sensoriali. Prendiamo in considerazione le esigenze di chi ha dolore cronico o energie limitate e può soffrire di ritardi e tempi dilatati.
In più, rendere disponibili online i contenuti fa sì che i preziosi contributi dell’evento fisico possano essere accessibili oltre il fugace momento estemporaneo per una fruizione più estesa, nel tempo e nella quantità di persone raggiunte. Questo permetterebbe di raggiungere nuovi potenziali alleati e di nutrire e accogliere nuove risorse. Oltre a raggiungere chi per vari motivi potrebbe essere impossibilitatә a partecipare nonostante l’accessibilità dell’evento fisico, andrebbe incontro alle esigenze di chiunque vorrebbe partecipare ma non può farlo per tutta una serie di motivi, come per esempio chi vive in realtà rurali o non può esserci per motivi circostanziali.
Ci sono tante persone, tante risorse che possono e vogliono dare il loro contributo, tante persone che vogliono partecipare, e grazie all’accessibilità questo è possibile. Per quanto già è stato fatto, è fondamentale continuare così, non un passo indietro.
Non possiamo rinunciare all’accessibilità.
Prima Immagine di Annie Segarra, terza, quarta e immagine in evidenza provenienti da Queer Cafe
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