LA RIVOLUZIONE DI FRANCA VIOLA

“Mai avere paura di lottare.”
Franca Viola


Mentre il ricordo degli orrori della Seconda Guerra Mondiale viene rimpiazzato dagli sketch del Carosello e sempre più automobili corrono tra le strade interpoderali dei mezzadri, l’Italia degli anni ‘60 tramite i giornali e la televisione in bianco e nero emigra ad Alcamo, un paesino nella provincia di Trapani, per seguire lo scandalo che divide e interroga l’opinione pubblica.
Una sola domanda mette in crisi tutti: “Voi sposereste Franca Viola?”.

La morale, inseparabile sorella dell’etica, la mafia che controlla un’Italia in espansione e l’onore di cui la legge si fa serva vengono chiamati in causa presso il Tribunale di Trapani nel dicembre del ’66 dal ‘no’ di una ragazzina di 17 anni dai lunghi capelli neri.

Franca Viola, nata ad Alcamo il 9 Gennaio 1948 in una famiglia di coltivatori diretti, all’età di quindici anni, con il consenso dei genitori, si fidanza con Filippo Melodia, nipote dell’esponente di Cosa Nostra Vincenzo Rimi. In seguito all’accusa di furto e di appartenenza a banda mafiosa il fidanzamento tra i due viene sciolto e il giovane Melodia fugge in Germania. Rientrato in Italia e dopo una breve reclusione in carcere, Filippo torna alla carica per chiedere la mano della figlia dei Viola. Il padre della ragazza però rifiuta provocando una serie di aggressioni estreme da parte del giovane a danni dell’uomo, pur di strappargli “la custodia della figlia”. Ci riesce il 26 dicembre 1965 quando, aiutato da una banda di dodici amici, il ragazzo fa irruzione in casa dei Viola e, dopo aver picchiato i genitori della ragazza, rapisce l’appena diciassettenne Franca abusando di lei e tenendola segregata per otto giorni. Il giorno di Capodanno, Bernardo Viola viene contattato da Melodia per ufficializzare la “paciata” tra le famiglie con il conseguente matrimonio dei due ragazzi. I genitori di Franca, in accordo con la polizia, fingono di accettare permettendo così la liberazione della ragazza il giorno successivo. Filippo Melodia e i suoi complici vengono arrestati, ma sono sicuri di una veloce scarcerazione, consapevoli che le accuse di stupro e di sequestro sarebbero decadute in seguito al “matrimonio riparatore”.

L’articolo 544 del codice penale prevedeva infatti che: “il matrimonio, che l’autore del reato contragga con la persona offesa, estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali.
In quegli anni non esisteva il reato di violenza sessuale in quanto considerato un oltraggio alla morale della vittima e all’onore della famiglia piuttosto che un reato contro la persona. La mentalità del periodo voleva che si salvassero le apparenze convolando a nozze invece di permettere ad una donna di essere additata come “zitellao “svergognata”.
Chi altri, oltre al suo violentatore, avrebbe mai avuto il coraggio di sposarla? Franca Viola, però, dice no, dando avvio al processo che comincerà nel dicembre del ’66.

Tra interrogazioni parlamentari e tentativi da parte della difesa del Melodia di screditare la vittima – si arriva a chiedere una perizia per dimostrare che la deflorazione della ragazza fosse avvenuta prima del rapimento, così da poter invalidare i capi d’accusa – la giovane Franca trascorre tutto il periodo del processo confinata ad Alcamo con l’attenzione della stampa locale e nazionale puntata addosso come “la prima donna svergognata”. Ma la forza delle sue posizioni non viene mai meno e il coraggio di opporsi all’imperante ideologia patriarcale di quegli anni l’accompagnano durante tutto il processo, portando così alla condanna a 11 anni di reclusione per Filippo Melodia e i suoi compagni.

“Io non sono proprietà di nessuno, nessuno può costringermi ad amare una persona che non rispetto. L’onore lo perde chi le fa certe cose, non chi le subisce”, dirà Franca. La sentenza porta così ad un punto di svolta nella lotte di rivendicazione che le donne avrebbero combattuto nei decenni successivi e Franca Viola diventata un’icona del movimento femminista italiano per aver detto no alla morale del tempo, no alla violenza della mafia e no a una legge che la discriminava.

Un anno dopo Franca Viola si sposa con il compaesano e amico d’infanzia Giuseppe Ruisi, nonostante i timori di un’eventuale rappresaglia da parte dei parenti del suo aggressore. A distanza di oltre cinquanta anni da quella famosa sentenza Franca, la ragazza che disse no, è diventata un esempio di autodeterminazione per tutte le donne che dopo di lei hanno preso coraggio e rifiutato “il matrimonio riparatore”. Da quella sentenza, le donne hanno combattuto e hanno ottenuto l’approvazione di importante leggi come quella sul divorzio nel 1970, sull’aborto nel ‘78, sull’abuso sessuale nel ‘96 e la più recente sul femminicidio.

Però poi si apre il giornale, dove si racconta che uno stupro di gruppo perpetrato nei confronti di una ragazzina di 15 anni è stato etichettato in diretta nazionale come una “bambinata”. E sprofondiamo ancor prima degli anni Sessanta, prima ancora di Franca Viola.