Quarantadue minuti più tardi l’appartamento era vuoto e silenzioso.

Una sola luce resisteva al buio, in camera di Riccardo. Davanti a quella lampadina i due ragazzi disegnati nel controluce si torturavano le bocche a vicenda. Ad ogni marcia di denti sulle labbra seguiva un assalto alla lingua e un gemito veniva risucchiato dalle profondità della gola. I corpi partecipavano alla lotta a modo loro. Il ventre bianchissimo di Antonio premeva contro le cosce alzate di Riccardo. Il primo spingeva ossa, erezione e vene a rilievo contro il costume da nuoto dell’altro. Il secondo con la sua muscolatura ingombrante e un sofficissimo pelo chiaro lasciava che il fidanzato avesse gioco tra il suo inguine e il suo sedere, con le ginocchia ai lati del volto.

Antonio non proferì parola. Gli sfilò il costume troppo velocemente bruciandogli pelle e peli e nel tempo in cui un grumo di saliva ci mise a cadere dalla sua bocca fu dentro di lui.

“Cazzo Anto…!” digrignò i denti Riccardo. Respirò velocemente cercando di rilassarsi. Antonio lo guardò travolto dalla voglia, senza fermarsi: “Pensi sempre di avere tu il… controllo… e invece no.”

Tenendosi con la punta dei piedi alla cornice del letto si spinse ancora più forte dentro di lui.

“Questa volta… decido io.”

Riccardo a quelle parole si aggrappò a lui come se non esistesse nient’altro al mondo.

“Decidi tu… Cazzo, Anto… decidi… ah!” l’ultimo colpo era stato un po’ troppo forte “tu…”.

“Se ti vedessero gli altri adesso…” Antonio aveva lo sguardo perso su quel corpo che lo superava in massa e altezza di diverse misure. “Ti piace comandare” affondò, “Controllarli…” affondò.

“Io non…”, Riccardo sentì le gambe tremargli e il battito nelle vene farsi furioso. La voce di Antonio lo incalzò ancora. “Desideri, chiedi… vuoi… e ti danno tutto… ma non ti scopri mai.”

“Ti prego non ti fermare”. Riccardo non voleva sentire quello che voleva dirgli, solo che continuasse a scoparlo, ma Antonio non gli lasciava tregua. Era come se le parole fossero legate alle spinte, non potevano essere fermate. “Nemmeno io riesco a contraddirti Ricky… mai, capisci? MAI… e tu non ti scopri… MAI… perché hai sempre tutto quello che vuoi quando cazzo lo vuoi…”

“Vengo, cazzo… vengo.” Il corpo di Riccardo cominciò a sussultare. La voce del suo fidanzato era lontana. “Basta…” Antonio strinse i denti e lo colpì con tutta la forza che aveva. “Io non voglio…” e sentì l’orgasmo in arrivo farsi strada dentro il suo ventre. “Non voglio più…”, cominciò a venire nel preservativo, “…stare con te.” e lanciò un urlo nell’appartamento silenzioso.

Riccardo non capì subito cos’era successo, involontariamente pensò a quella piccola e misteriosa porta in terrazzo, dietro il vaso di fiori. Era sempre stata chiusa, invisibile, senza che nessuno la notasse… e Antonio l’aveva appena lasciato.

Matteo raggiunse la pensilina rossa dell’autobus in Porta Mazzini. Senza accorgersene il suo passo era stato veloce, quasi frenetico, e una volta arrivato aveva il fiato corto.

Qualcuno lo aspettava. Qualcuno che non vedeva da tempo e che ora si teneva il largo cappuccio della felpa ben calcato sulla faccia. Quando giunse a pochi passi, due occhi scuri si levarono sotto di esso e l’espressione si illuminò di incertezza e vergogna. Matteo non ebbe il tempo di capire.

“Fede?”

La voce di una ragazza insicura e tremante gli rispose da sotto il cappuccio. “Non sapevo chi chiamare” e con un gesto altrettanto incerto si scoprì il viso. “I miei mi hanno sbattuta fuori, e lo so che non ci sentiamo da un anno e mezzo ma…”.

Federico era stato il migliore amico di Matteo sin dalle elementari. Avevano condiviso tutto, dalla tenda agli scout, alle prime fidanzate nella stessa classe del liceo. Le loro vite sembravano essere ripiegate l’una sull’altra, come due fogli che componevano lo stesso origami.

Chi aveva davanti in quel momento aveva qualcosa di lui, la stessa pelle scura e la cadenza della voce che non sentiva da quando avevano litigato. Era una ragazza bellissima, la più bella che Matteo avesse mai visto.

“Aiutami Obi-Wan Kenobi, sei la mia unica speranza” e cercando di sdrammatizzare gli passò una sigaretta fumata a metà.

Matteo la prese.

Anna guardò un soffitto sconosciuto. Fissando l’intonaco bianco riusciva a ricordare il vino in terrazzo, il piano di Riccardo e quella voce provenire dalla strada. Si era sporta dalla ringhiera e aveva visto qualcuno. Qualcuno che le era familiare, ma non riusciva a mettere a fuoco cosa fosse successo dopo. Era corsa giù dalle scale, forse. Aveva incontrato qualcuno in strada, probabilmente.

Doveva aver bevuto ancora, ridendo, per qualcosa che in ogni caso non ricordava.

La donna che era sdraiata accanto a lei allungò il braccio pallido, ricoperto di lentiggini delicate.

L’attirò a sé come se fosse un lembo del lenzuolo che copriva i loro corpi nudi. Anna sospirò, affogando il terrore del vuoto di memoria nel calore di quel corpo che non conosceva. La sbirciò attraverso i capelli di un rosso sbiadito dalle ombre.

Le era familiare, indubbiamente, ma non riusciva a mettere ben a fuoco, con la poca luce presente nella stanza. Una sola cosa sapeva, aveva quasi il doppio dei suoi anni e aveva ancora voglia di fare sesso con lei.

(2 – continua)

pubblicato sul numero 1 della Falla – gennaio 2015