Mario Mieli è statə una figura chiave per la scena omosessuale in Italia: dalla prima militanza a Londra fino al FUORI e alla Manifestazione di Sanremo nel 1972, Mieli ha aperto la strada al movimento LGBTQ+ italiano e non, lasciando spunti teorici che oggi più che mai risultano necessari.
Nel 1977 Mieli pubblica con Einaudi il saggio Elementi di critica omosessuale, una rielaborazione della sua tesi di laurea in Filosofia morale conseguita l’anno precedente all’Università degli studi di Milano, che subito si rivela un importante testo teorico per il movimento omosessuale italiano e nel tempo viene considerato un precursore della teoria queer che si svilupperà oltreoceano negli anni Novanta. Nel saggio si teorizza la «transessualità» innata nell’essere umano. Questo termine non è utilizzato dal teorico milanese nella sua accezione contemporanea (ossia di persona che non si identifica con il proprio genere assegnato alla nascita) ma per mettere in luce sia «il fatto che ogni uomo è anche donna e ogni donna è anche uomo, sia il fatto che esiste una pluralità di tendenze nell’Eros» (Come mai?, 1977). A impedire l’espressione di questa naturale propensione umana secondo Mieli è l’influenza della società sugli individui dei quali reprime l’animo transessuale: il processo della educastrazione che trasforma i bambini in uomini e le bambine in donne conformi alla Norma ciseteropatriarcale.
Il potere rivoluzionario di Elementi è riscontrabile nella capacità di rovesciare le dinamiche di potere della conoscenza ciseteropatriarcale ribaltandole su loro stesse. Attraverso l’educastrazione Mieli denaturalizza le forme egemoniche della mascolinità e della femminilità ciseteropatriarcali: i bambini e le bambine non diventano naturalmente dei soggetti maschili e femminili conformi alla Norma, sono vittime di una politica formativa (edu-) e violenta (-castrazione). In maniera simile Mieli inverte la concezione di travestitismo: per Mario i veri travestiti sono «la stragrande maggioranza delle persone, nelle loro divise mostruose da “maschio” o da “donna”» il cui travestitismo deve rimanere taciuto e scontato.
Con la sua teorizzazione della transessualità innata Mieli si riappropria del pensiero freudiano per denunciare il binarismo di genere. È attraverso l’educastrazione ricevuta dai genitori che i bambini imparano ad adottare lo sguardo binario: «non ci imbatteremo che in “uomini” o “donne” finché non sapremo immaginare che “uomini” oppure “donne”. Anche in noi stessi non sappiamo riconoscere che l’”uomo” o la “donna”, malgrado la natura transessuale del profondo». Questo fervore teorico contro il binarismo di genere è sicuramente anche frutto dell’esperienza personale dell’autore: proprio in Elementi Mieli descrive il suo «sentir[si] transessuale», di come a volte si «senti[sse] proprio donna, a volte spiritualmente incinta, altre come reincarnazione di una donna».
Possiamo quindi dire che Mieli era una persona non-binaria? Dipende da cosa intendiamo con quest’ultimo termine: l’identità non-binary per come la conosciamo oggi in Italia è riconducibile al termine genderqueer che diviene popolare tra gli attivisti anglofoni solo negli anni Novanta. È quindi da escludere il considerare Mieli una persona con una identità non-binaria dato che è morto suicida nel 1983. D’altro canto, da una lettura di Elementi emerge chiaramente l’identificazione di Mieli come transessuale e che intendesse questo termine come l’essere donna nell’uomo e l’essere uomo nella donna. Possiamo quindi pensare a Mieli come una persona che percepiva la sua identità al di fuori del binarismo uomo-donna, come unə precursore che ha teorizzato e politicizzato il suo vissuto non-binario prima che dello sviluppo contemporaneo dell’attuale paradigma delle identità non-binary.
Immagine in evidenza da Pride
Perseguitaci