in collaborazione con Lesbiche Bologna
Con lesbica tardiva si intende una persona che diviene consapevole del proprio orientamento sessuale in età adulta, o che, pur essendone già consapevole, decide di esprimere questo orientamento in una fase avanzata della propria vita. Nonostante la simpatica parodia che ne fa il duo Le NoChoice nell’omonimo brano, il termine sembra assumere in sé una connotazione negativa, di qualcosa arrivato troppo tardi, fuori tempo utile. Più simpatico è il corrispettivo inglese «late-blooming lesbian», che nel verbo «blooming» (sbocciare) suggerisce una freschezza che stempera l’aggettivo «late».
I motivi di questa tardività possono essere diversi: mancata consapevolezza, mancate occasioni o paura della diversità. Per alcune può giocare un ruolo il fatto che l’alternativa eterosessuale venga percepita come più accettabile, da cui la negazione della consapevolezza, anche quando avvertita («perché essere felice quando puoi essere normale?», come dice la madre di Jeanette Winterson nell’omonimo romanzo). Alle donne della mia generazione (e forse purtroppo anche di quelle successive) essere lesbica non è mai stata presentata come una possibilità gradita, ma come una sorta di sventura, a mala pena sopportata.
In molti casi la lesbica tardiva ha alle spalle una relazione eterosessuale e a volte anche de* figl*, il che rende più complicato esprimere questa parte di sé e uscire allo scoperto. Pesa la difficoltà ad accettare che la consapevolezza, o il coraggio, siano arrivati tardi, forse troppo tardi; la complessità di adattarsi a una diversa immagine di sé, verso noi stesse e verso l* altr*, in particolare verso l* figl*; infine la difficoltà a trovare la porta di ingresso al mondo lesbico in una fase della vita che appare inadatta alle nuove scoperte. Al termine di un percorso di auto-consapevolezza lungo e faticoso, può capitare di trovarsi perse, spaesate, a pensare: e ora? Cosa me ne faccio del mio faticoso traguardo? Come costruisco la mia futura splendente vita da lesbica, magari sui cocci di quella che ho appena distrutto? E soprattutto, dove sono le lesbiche? Dove posso trovarle per confrontarmi, parlare di come mi sento, cercare sorellanza, amore e sesso lesbico?
Ho scoperto sulla mia pelle che quando sei una lesbica tardiva è facile che i primi passi, vuoi per troppa fretta, vuoi per inesperienza, possano risultare clamorosi scivoloni, dolorosi salti nel vuoto o penosi vicoli ciechi. Il mare lesbico può essere meraviglioso quando impari a nuotarci, ma può risultare spaventoso alle prime esperienze. Quella della lesbica tardiva è una condizione scomoda, talvolta stigmatizzata e guardata con sospetto anche dalle stesse lesbiche, da cui ci sente talvolta giudicate codarde, traditrici o persone dall’orientamento instabile, soggette a ricadute nell’eterosessualità. Per fortuna ci sono anche tante realtà lesbiche accoglienti e aperte a ogni soggettività, come l’associazione Lesbiche Bologna di cui faccio parte, così come singole donne che ti sostengono e ti aiutano a imboccare la strada giusta.
Anche se io apparentemente non ho avuto problemi nell’accettarmi e nel dichiarami lesbica a 48 anni, grazie a una famiglia supportiva e a un ambiente sociale aperto alle tematiche LGBTQIAP+, a lungo ho provato un senso di profondo disagio verso me stessa e verso l* altr* a cui non sapevo dare un nome. Poi un giorno la mia psicoterapeuta (che ringrazierò sempre anche per questo) mi ha fatto leggere uno studio del 2020 di due ricercatrici e un ricercatore italiani su genitori gay e lesbiche con precedenti relazioni eterosessuali, dove ho trovato espresso per la prima volta il concetto di «rinegoziazione dell’identità sessuale in età adulta», sintetizzato nella definizione di «adolescenza gay» o «seconda adolescenza». Questi termini descrivono molto bene le difficoltà della lesbica tardiva, sia in relazione al mondo eterosessuale – la frustrazione per l’abbandono della vita considerata tradizionale e la difficoltà di adattarsi a questa nuova realtà – sia in relazione al mondo lesbico – l’ansia di sentirsi in ritardo, il bisogno di imparare nuove abilità sociali, la necessità di far conciliare il passato con il presente e talvolta il dover integrare omosessualità e genitorialità. Lo studio evidenzia come sia complesso «risolvere questioni di identità tipiche dell’adolescenza mentre si ricoprono ruoli adulti di responsabilità». Era già tutto lì, reale, condiviso e nominato (e quando qualcosa ha un nome, allora esiste) e mi sono sentita meno sola.
A distanza di qualche anno, posso finalmente dire che ci sono anche molti aspetti positivi legati al riconoscersi lesbica in età adulta: la maggiore consapevolezza di me stessa, la minore preoccupazione di compiacere la famiglia o la società, l’indipendenza economica. E poi gli aspetti gioiosi e giocosi che, superando la vergogna e con il tempo, ho riscoperto: l’entusiasmo di emozioni nuove in un momento in cui non erano più attese o sperate; la gioia di conoscere altre persone che, pur con esperienze diverse, condividono i miei stessi dubbi e problemi; il senso di complicità e di sorellanza. E infine, la liberazione dal ruolo tradizionale di donna trasmesso dalla società eteropatriarcale e la possibilità di trovare un mio posto nel mondo, più vero e onesto.
Perciò vorrei dire a tutte le lesbiche tardive che leggeranno questo articolo, di non avere paura, di non scappare, perché per quante strade sbagliate possiate prendere, prima o poi arriva quella giusta, dentro e fuori di voi. Vorrei dire a tutte le giovani donne e ragazze di considerare sempre l’essere lesbica come un’alternativa non solo possibile, ma anche meravigliosa; e a tutte le madri e a tutti i padri, eterosessuali e non, di presentare sempre a* loro figl* l’eventualità di essere lesbiche, gay, bisessuali, queer, come percorsi immaginabili, e di viverne l’eventuale realizzazione con orgoglio.
Se sei anche tu una lesbica tardiva e hai voglia di parlarne, scrivi a lesbichebologna@gmail.com
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