Dalla confisca dei beni alla criminalità organizzata a una nuova collettività
Riflettendo sul tema dei beni confiscati alle mafie e al loro riutilizzo sociale da parte di tante associazioni e cooperative, il pensiero è andato quasi inevitabilmente a un libro e in particolare a una città. Il libro è Le città invisibili di Italo Calvino e la città è Raissa: «Non è felice, la vita, a Raissa. Per le strade la gente cammina torcendosi le mani, impreca ai bambini che piangono, s’appoggia ai parapetti del fiume con le tempie tra i pugni, alla mattina si sveglia da un brutto sogno e ne comincia un altro. Tra i banconi dove ci si schiaccia tutti i momenti le dita con il martello o ci si punge con l’ago, o sulle colonne di numeri tutti storti dei registri dei negozianti o dei banchieri, o davanti alle file di bicchieri vuoti sullo zinco delle bettole, meno male che le teste chine ti risparmiano dagli sguardi torvi. Dentro le case è peggio, e non occorre entrarci per saperlo: d’estate le finestre rintronano di litigi e piatti rotti». Non è felice la vita in Italia. Un Paese che da sempre combatte o convive con le organizzazioni criminali di stampo mafioso e che non riesce a sconfiggerle, tanto le mafie sono capaci di penetrare nell’economia, nella società, nel modo di pensare di tante persone. Non è felice l’Italia, un Paese in cui le mafie prosperano occupando e gestendo potere. Non è felice nemmeno l’Emilia Romagna, terra ricca di affari per i clan, che da decenni sono sbarcati a portare i loro traffici di droga, di riciclaggio di denaro nei ristoranti e negli hotel, di gestione di aziende. Non è felice nemmeno Bologna se, nonostante sia stata solo lambita dalle grandi inchieste e processi di questi anni nella nostra Regione, presenta quasi dieci beni confiscati alla criminalità organizzata in città e quasi trenta nella provincia.
«Eppure, a Raissa, a ogni momento c’è un bambino che da una finestra ride a un cane che è saltato su una tettoia per mordere un pezzo di polenta caduto a un muratore che dall’alto dell’impalcatura ha esclamato: “Gioia mia, lasciami intingere!” a una giovane ostessa che solleva un piatto di ragù sotto la pergola, contenta di servirlo all’ombrellaio che festeggia un buon affare, un parasole di pizzo bianco comprato da una gran dama per pavoneggiarsi alle corse, innamorata d’un ufficiale che le ha sorriso nel saltare l’ultima siepe, felice lui ma più felice ancora il suo cavallo che volava sugli ostacoli vedendo volare in cielo un francolino, felice uccello liberato dalla gabbia da un pittore felice di averlo dipinto piuma per piuma picchiettato di rosso e di giallo nella miniatura di quella pagina del libro in cui il filosofo dice: “Anche a Raissa, città triste, corre un filo invisibile che allaccia un essere vivente a un altro per un attimo e si disfa, poi torna a tendersi tra punti in movimento disegnando nuove rapide figure cosicché a ogni secondo la città infelice contiene una città felice che nemmeno sa di esistere».
Eppure in Emilia Romagna ci sono tanti beni confiscati alla criminalità organizzata, che nonostante le enormi difficoltà, spesso burocratiche per intricate situazioni di diritti verso terzi o per confische solo di qualche particella catastale di un intero bene, spesso economiche per i grandi investimenti di denaro che occorrono per rendere effettivamente riutilizzabili i beni, riescono a tornare vivi, frequentati e a servizio della collettività. Anche a Bologna qualcosa di simile sta avvenendo: una villa, a due passi da porta San Mamolo, da due anni sta prendendo una nuova vita. Da bene in mano a Giovanni Costa, condannato per riciclaggio aggravato di denaro di Cosa Nostra, a bene del Comune di Bologna; da bene destinato a una operazione di riciclaggio e di speculazione edilizia (dalla villa Costa stava ricavando appartamenti di lusso) a bene che sarà destinato ad appartamenti di edilizia sociale. Tra queste due vite, una passata e una futura, abbiamo un recente passato di bene abbandonato per dieci anni a causa dei costi di ristrutturazione necessari e un presente di riutilizzo temporaneo del giardino come spazio verde che Libera Bologna sta lentamente tentando di far diventare un punto di riferimento, non solo dell’antimafia, ma anche della cultura e della socialità cittadina. Dal nostro punto di vista bellezza e fatica sono lì insieme, legate una all’altra: attraverso un lavoro di rete, di cesello, di relazioni, di dialogo, di discussioni, di musica, la crescita della consapevolezza sulla presenza delle mafie e dei loro affari, ma anche al contempo delle tante città felici nascoste. E del filo invisibile che le tiene insieme.
Che questo articolo sia apparso su questo giornale, è una ulteriore prova della sua esistenza.
Immagine in evidenza da https://www.fondazioneunipolis.org/progetti/libera
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