Lo sguardo della psicologia nel suo secolo e mezzo di storia ha comportato, in una prima fase, il passaggio dalla criminalizzazione alla decriminalizzazione e patologizzazione dell’omosessualità intesa, nei casi migliori, come arresto dello sviluppo evolutivo (Freud) o identificazione con le proprie componenti controsessuali, cioè con la propria parte maschile per le donne e femminile per gli uomini (l’animus e l’anima di Jung); nei casi peggiori come un grave morbo, associato addirittura a disturbi psichici come la schizofrenia, che rendeva necessaria la medicalizzazione.
Solo a partire dalla fine degli anni ’70 il paradigma epistemologico delle scienze mediche e della psicologia ha cominciato a invertire la rotta, fino ad arrivare negli anni ’90 alla piena comprensione dell’omosessualità come variante sana dell’orientamento/comportamento affettivo e sessuale umano. Nonostante questo, rimane ancora oggi capillarmente diffuso nella società un atteggiamento discriminatorio sostanziato da pregiudizi di ogni sorta che alimentano un clima di rifiuto, condanna e delegittimazione di tutte le identità LGBT+.
Per far fronte a questo clima culturale negativo, che influenza inevitabilmente gli stessi psicologi, analisti e psicoterapeuti, è sorta, soprattutto negli ultimi dieci anni, una ricca produzione scientifica volta a fornire gli strumenti adeguati per una formazione professionale in materia LGBT+. In Italia, una pioniera in questo campo è stata ed è Margherita Graglia, i cui libri rappresentano una fonte di informazione imprescindibile per professionisti e non, insieme alle Linee Guida di Lingiardi-Nardelli, ai lavori contro le terapie riparative, come quello di Ferrari-Rigliano, e a quelli specifici per le identità trans come Il Canto dei Sireni di Mary Nicotra, o Le differenze di sesso, genere e orientamento di Graglia stessa, entrambi del 2019.
La caratteristica più originale della psicoterapia transpersonale è il considerare l’integrazione di ogni aspetto della natura umana come fondamentale affinchè l’autorealizzazione si esplichi nella sua pienezza, a partire dal livello fisico ed energetico per arrivare a quello emotivo e mentale, fino a includere la dimensione spirituale. Per realizzare questa integrazione, l’approccio transpersonale armonizza la psicologia classica e il pensiero analitico occidentale con le visioni e le pratiche delle tradizioni del pensiero orientale, come quelle buddiste e, più in generale, con i principi di saggezza universale comuni ai più diversi popoli (la c.d. filosofia perenne); sposa inoltre la poesia come via di conoscenza, e assume l’aspirazione al misticismo che è propria di ogni religione. La metodologia della biotransenergetica in particolare, fondata negli anni ’80 da Pier Luigi Lattuada e Marlene Silveira e adottata dall’autrice, abbracciando il paradigma olistico, valorizza e codifica questi approcci rendendoli una vera e propria disciplina psico-spirituale.
In una sezione squisitamente antropologica, l’autrice traccia, in relazione ai temi affrontati, la storia delle religioni, della spiritualità e delle credenze di vari popoli di ciascun continente. Un’operazione che ha molteplici funzioni: prima di tutto decostruisce in modo sorprendente la percezione diffusa che l’insieme delle convinzioni occidentali in materia di genere e sessualità siano fondate su principi assoluti, innati e universalmente validi, e non siano piuttosto contestualizzabili e storicizzabili in quanto prodotti culturali. Risponde poi a un’esigenza intrinseca alla solitudine di ogni minoranza, per cui il lavoro di riscoperta e ricostruzione della storia della cultura LGBT+ «è paragonabile alla scoperta delle proprie origini e della propria terra che compiono le persone migranti, quelle orfane e quelle adottate, una forza di contatto con gli antenati, la forza che sta alle proprie spalle».
Soprattutto, fornisce la base documentaria per l’estrapolazione e l’elaborazione di archetipi, offerti da diverse figure mitologiche (il serpente arcobaleno è una di queste), e di simboli da usare come potenti alleati nel cammino «eroico» verso l’affermazione della propria identità e il superamento dei blocchi dovuti all’omo-lesbo-bi-trans-negatività ambientale interiorizzata e ai danni psichici arrecati dal minority stress.
Il coming out viene affrontato come un’iniziazione che porta a una nuova nascita e che, come ogni rito di passaggio, prevede una successione di momenti cruciali, dall’isolamento/separazione dell’individuo dal gruppo (la fase del coming out interiore con se stess*, in cui si prende coscienza della propria identità), alle prove da affrontare per reintegrarsi nella società forti del nuovo status acquisito e del supporto delle altre persone che hanno condiviso lo stesso percorso.
L’ideazione più potente di Barrilà è quella del concetto di OmoSé, una profonda realtà psichica e spirituale da salvare e liberare per restituire al Sé la sua integrità e la sua sacralità violata. È un compito destinato non solo alle/i pazienti LGBT+, ma anche a tutt* le figure professionali che le/li prendono in carico, a prescindere da quale possa essere il loro personale orientamento affettivo/sessuale.
Gli psicoterapeuti, gli psicologi, gli analisti, i counselor, devono arrivare a sgombrare la mente e l’anima da tutti i pregiudizi interiorizzati, ponendosi «vuoti e svegli» davanti ai pazienti, per poter accogliere le loro istanze esistenziali e rispecchiarle nel modo più efficace, e costruire un rapporto terapeutico fondato sull’«amore incondizionato».
Solo una volta recuperato e incluso, l’OmoSé può essere trasceso all’interno del Sé, in chiave appunto transpersonale, cioè superando i confini identitari dell’individualità personale: potersi permettere di farlo ne attesta, forse, la più completa liberazione e guarigione.
Pubblicato sul numero 51 della Falla, gennaio 2020
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