Domenica sera intorno alle 22.30 chi stava seguendo lo spoglio delle primarie del Partito Democratico ha capito di assistere a un risultato storico, imprevisto: Elly Schlein stava vincendo la consultazione pubblica indetta tra lə non iscrittə al partito per guidarne la segreteria, dopo che i circoli avevano invece espresso un netto sostegno nei confronti del suo avversario, Stefano Bonaccini.
Per la prima volta, la consultazione aperta a tuttə ribalta il risultato del partito stesso, chiudendosi con Schlein al 53,8% e Bonaccini al 46,2%. Ci sono innumerevoli prime volte in questa elezione.
Elly Schlein è prima segretaria del Pd ed è la prima segretaria del maggior partito di area socialista in Italia, in assoluto. Trentasettenne, nata nel 1985 – è anche la persona più giovane mai eletta a capo del Pd – , Schlein era una bambina quando assisteva al disfacimento del Pci trasformato in Pds; poi arrivarono i Ds e infine, cedendo alla tentazione del compromesso storico 2.0 con gli eredi della Dc, nel 2007 nacque il Pd. Durante la storia politica del Pci fino agli ultimi trent’anni di trasformazioni tutto è cambiato, eccetto il genere di chi stava al timone. Fino a ieri. Nella prima uscita dopo la vittoria, la nuova segretaria ha dichiarato di aver ricevuto alcuni messaggi da donne utracentenarie. Le hanno detto che aspettavano da tutta la vita di votare una donna al partito.
È anche la prima volta in cui esperiamo, nel nostro territorio perlomeno, uno scontro nazionale dal sapore così casalingo: l’attuale Presidente dell’Emilia-Romagna contrapposto alla sua ex Vicepresidente, da poco dimessasi per occupare una poltrona alla Camera dopo la vittoria come indipendente alle ultime elezioni, appoggiata dal Pd.
C’è poi un’ulteriore prima volta: dall’iscrizione al partito in una sezione del quartiere della Bolognina alla sua leadership sono passati appena due mesi e mezzo. Schlein fu protagonista infatti della stagione di #occupyPd, andandosene però dal partito nel 2015 in polemica con le politiche dell’allora segretario Matteo Renzi, dopo l’elezione nelle sue file al Parlamento europeo, nel 2014.
Last but not least – anche se l’elenco delle prime volte potrebbe allungarsi ancora – Elly Schlein fa parte della popolazione LGBTQ+ di questo Paese, è bisessuale dichiarata. Prima di lei solo Vendola e Pecoraro Scanio erano arrivati all’apice di una formazione politica da persone non eterosessuali; leader, però, rispettivamente di Sinistra Ecologia e Libertà e dei Verdi, non del partito di centrosinistra più votato d’Italia. Per vedere l’effetto che fa, date uno sguardo ai profili di Adinolfi e dei ProVita.
Basta un lungo elenco di prime volte a fare la rivoluzione in un partito? Naturalmente la risposta è no. Ma non si può negare che una considerevole parte del fascino di Schlein segretaria stia qui, nelle sue eccezioni a una regola che sembrava inscalfibile, nell’aver rotto il paradigma della consumata leadership maschile del campo progressista. Allo stesso tempo, le insidie sono proprio nelle contraddizioni più spinose che l’hanno portata alla vittoria, come la capacità, sulla carta, di unire sia buona parte dei protagonisti degli ultimi anni della dirigenza Pd, sia chi il Pd non l’ha votato mai o ha smesso di votarlo molti anni fa.
La sintesi politica è tutta da costruire, così come l’opposizione al nostro attuale Governo, azione a cui il Pd ha abdicato da quando Meloni è Presidente del Consiglio, troppo impegnato con la propria ristrutturazione interna. Perché non basterà davvero solo essere una giovane donna femminista e bisessuale per fare la rivoluzione nel centrosinistra italiano, l’ha detto Schlein stessa nell’ultimo intervento della sua campagna, a Palermo: «Penso che non ci serva un uomo solo al comando […] e non penso che ci serva una donna sola al comando, lo dico anche a me, adesso che ce n’è una a palazzo Chigi. Penso che ci serva riscoprirci una comunità politica che cammina, lavora ed elabora insieme».
A Elly Schlein il nostro in bocca alla lupa.
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