Sin dalle elementari in avanti ci è stato insegnato che nella preistoria gli uomini si occupavano di cacciare gli animali per sfamare il clan, mentre le donne si occupavano dei figli e raccoglievano bacche. Questa divisione dei ruoli non è stata mai messa in discussione.
Tuttavia nel suo libro La Preistoria è Donna, Marylène Patou-Mathis mette in dubbio questa interpretazione.
La teoria preistorica sulla divisione dei ruoli è stata formulata in un periodo storico come l’Ottocento, contraddistinto dall’esaltazione delle differenze fisiche tra uomini e donne, da studiosi uomini che intendevano sottolineare quanto queste ultime fossero inferiori ai primi. Soprattutto il cervello divenne oggetto di studi: tra la fine del Settecento e l’Ottocento, le persone più dotte (uomini!) comparavano i cervelli di entrambi i sessi, così si scoprì che il cervello delle donne pesa 140 grammi in meno rispetto a quello degli uomini. Dal momento che la dimensione dell’encefalo si considerava strettamente correlata all’intelligenza, era facile che le donne fossero ritenute inferiori all’uomo per intelletto. Non ci sono state donne dedite allo studio della preistoria fino alla Prima Guerra Mondiale e le poche ricercatrici erano incoraggiate a svolgere l’attività all’interno dei laboratori, mentre gli uomini si dedicavano al lavoro sul campo (non vi sembra una divisione dei compiti già vista? Gli uomini a caccia, in questo caso di reperti, e le donne al chiuso, non più in una grotta ma nei laboratori). L’entrata delle donne nell’archeologia porterà alla nascita dell’archeologia di genere, disciplina incentrata sullo studio delle relazioni umane nella storia e che si fa portavoce delle differenze di mansioni basate sulla differenza di genere nell’ambito archeologico dell’epoca.
Ma da dove nasce il maschilismo degli studiosi ottocenteschi? Questi studiosi erano tutti figli della cultura greco-romana. Secondo la mitologia greca, fu Pandora la prima donna umana a essere stata creata dagli dèi e le diedero vita solo per punire Prometeo che aveva osato rubare il fuoco.
Esiodo nella Teogonia scrive: «Da questa vergine è venuta la razza delle donne dal seno fecondo, di queste donne pericolose, flagello crudele che vive tra gli uomini e si aggrappa non alla triste povertà ma al lusso sfavillante. […] Così Zeus, maestro della folgore, concesse agli uomini un dono fatale dando loro queste donne complici di tutte le cattive azioni».
Nonostante ci siano miti che narrano di donne positive, sono molte le testimonianze di un’epoca passata in cui le donne erano identificate come le responsabili di tutte le disgrazie. Insomma, per gli antichi le donne erano tutt’altro che favolose, erano, piuttosto un dito nell’occhio.
In realtà, nemmeno dopo è andata meglio, ricordate Eva la tentatrice che porta Adamo ad assaggiare la mela, il frutto proibito? La misoginia della dottrina cristiana porterà alla morte migliaia di donne in tutta Europa tramite quella che è stata definita caccia alle streghe.
Secondo i testi di riferimento di molte religioni che tutt’oggi contano migliaia di fedeli in tutto il mondo, le donne sono sempre state fonte di disgrazie per gli uomini.
Secondo una credenza popolare diffusa in Europa all’inizio del Novecento, il sangue mestruale ha un odore in grado di mettere in fuga la selvaggina, per questo erano escluse dalla caccia e dalla pesca, mentre le donne dell’aristocrazia vi prendevano parte.
Secondo l’antropologo Alain Testart, invece, dal momento che la caccia è fatta con armi e ciò comporta uno spargimento di sangue animale, le donne sono escluse da questa attività per evitare che si mescolino i tipi di sangue, la pena sarebbe avere gravi conseguenze come sterilità della selvaggina e delle donne.
In realtà, la storia racconta di società in cui le donne si dedicavano alla caccia, come in Gallia e nell’Amazzonia brasiliana, quindi non è da escludere a priori che nella preistoria potesse avvenire lo stesso: sono infatti state trovate lesioni causate da lanci ripetuti nei punti di attacco del tendine o del legamento in entrambi i sessi dei Neanderthal.
Bisogna inoltre considerare che la divisione delle attività che abbiamo studiato tutt* a scuola è un’ipotesi non comprovata, in quanto non ci sono testimonianze archeologiche di questa distinzione.
L’ipotesi della distinzione dei ruoli in base al sesso è stata formulata sulla base dell’idea che le donne potessero avere una ridotta mobilità dovuta alle tante gravidanze e alla cura della prole, quando in realtà la raccolta richiedeva spostamenti quotidiani e su lunga distanza, come conferma lo studio delle raffigurazioni parietali. Soffermiamoci su quest’ultimo punto: uno scheletro femminile, generalmente, ha il cranio più piccolo e il bacino più largo rispetto a quello maschile, ma ambiente, condizioni di vita e alimentazione influiscono ed è stato difficile poter identificare gli scheletri trovati, soprattutto quando sono stati rinvenuti diversi scheletri, tutte femmine, appartenenti a specie umane differenti. I criteri quindi variano a seconda dello stile di vita e si è visto che il numero di uomini preistorici è sovrastimato, perché si commette l’errore di scambiare scheletri femminili robusti per maschili.
Accanto ad alcuni cadaveri sono stati trovati ornamenti costituiti da conchiglie, denti e ossa di animali, corna di cervi, il defunto veniva ricoperto di ocra, spesso rossa, forse era presente anche un pasto funerario o un fuoco acceso, arredi funebri. Spesso non c’è nessuna correlazione evidente tra il sesso del defunto e gli oggetti che l* circondavano.
Finora non è stata trovata nessuna prova di una gerarchia nelle società paleolitiche ma non è da escludere, perché proprio il fatto di essere stati seppelliti può essere un segno distinzione sociale, nonostante si siano trovate persone di sesso ed età diversi.
Si è visto anche che quando mutarono le condizioni di vita, nel Neolitico, l’essere umano divenne agricoltore-cacciatore, adottando la residenza matrilocale, questo comportava l’allontanamento delle donne dalla comunità di nascita, in questo si può vedere un’imposizione ma anche e soprattutto il diventare interlocutrici di altre tradizioni culturali.
Nel Neolitico tutto cambia: divenuti sedentari, gli esseri umani ebbero una nuova necessità, cioè proteggere ciò che avevano.
Lo studio dei loro scheletri ha messo in evidenza che svolgevano attività dure e lo si nota da patologie dovute ai carichi pesanti e alle ripetute gravidanze.
Lo sfruttamento degli animali avrebbe portato gli uomini sempre più all’esterno, fuori dall’ambiente domestico, mentre le donne sempre più tra le mura domestiche, questo comportò la divisione sessuale dei compiti, la creazione di élite o caste, la residenza patrilocale e la filiazione patrilineare.
Questo probabilmente fu il primo passo verso il patriarcato che ancora oggi vincola la società. Ma questo non avvenne in tutti i luoghi, infatti ancora oggi esistono società matrilineari sparse per il mondo.
Gli esseri umani che ci hanno preceduto nascondono ancora molti segreti, ma resta il fatto che la storia delle donne manca di tasselli importanti e che abbiamo difficoltà a metterne altrettanti, perché fatichiamo a scrollarci di dosso stereotipi e modi di pensare che interiorizzati anche dalle donne stesse, perché sono stati modellati da secoli e secoli di mentalità fallocentrica.
Immagine nel testo da giunti.it
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