Da tempo ormai i movimenti di destra ultraconservatrice occidentale si scagliano contro il mondo LGBTQ+, accusato di diffondere una presunta ideologia gender contraria al cosiddetto ordine naturale tra i sessi. 

Si potrebbe parlare a lungo di come la società in cui viviamo abbia una forte impronta etero-normativa, di come i movimenti femministi e LGBTQ+ cerchino di metterla in discussione e della reazione conservatrice che ha generato il concetto stesso di ideologia gender. 

Qui però ci si vuole soffermare su un particolare effetto della retorica conservatrice, ossia la diffusione, nei Parlamenti e nelle famiglie, di un panico morale verso l’educazione minorile.

Difatti, l’adagio “perché nessuno pensa ai bambini?” non è rimasto confinato a una puntata dei Simpson, ma ha condizionato le scelte e i discorsi politici: basta ricordare la polemica sollevata nell’ultima campagna elettorale sulla rappresentazione di una famiglia omogenitoriale in Peppa Pig

Ma queste scelte sono legittime? Esistono principi di diritto che le possono giustificare oppure sono destinate ad essere censurate dalle Corti nazionali e internazionali?

Una recente sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Corte EDU) permette di ragionare su questi aspetti, esaminando un caso di censura imposta da un governo nazionale a un libro di fiabe per bambinɘ e di come questa possa ledere il diritto di espressione della sua autrice.

Per poter analizzare la decisione occorre però risalire ai fatti analizzati; quindi, partire come è giusto in questi casi dal “c’era una volta”. 

Nel dicembre 2013 l’Università Lituana di Scienze Educative pubblica The Amber Heart di Neringa Dangvydė, un libro di sei fiabe per un pubblico di giovanissimɘ (9/10 anni), che rappresenta molte minoranze e gruppi sociali comunemente discriminati, con lo specifico intento di educare il suo pubblico al rispetto e all’inclusività.

Di queste sei storie due raccontano di relazioni amorose omosessuali e, a seguito delle polemiche insorte, il Ministero della Cultura lituano ha incaricato l’Ispettorato dell’Etica Giornalistica – autorità legittimata in questi casi – di valutarne l’adeguatezza per un pubblico così giovane.

Il giudizio è stato negativo, con conseguente sospensione della pubblicazione e distribuzione dell’opera. La pubblicazione del libro riprende solo un anno dopo, con l’aggiunta di un’etichetta sulle copie che avvertiva della potenziale pericolosità del testo per un pubblico under 14.

L’autrice del libro ha perciò aperto un contenzioso legale, affermando che la sospensione delle pubblicazioni fosse frutto di una discriminazione in base all’orientamento sessuale. 

Il tema è stato ampiamente esaminato dalle Corti nazionali: al terzo grado di giudizio è stato ordinato il rinnovo dell’intero iter giudiziario – similmente all’Italia, il sistema giudiziario lituano si avvale di tre Corti – ma la ritrattazione ulteriore nei tre gradi non ha portato a un esito favorevole per l’autrice.

Le corti, infatti, se non hanno rigettato la domanda per ragioni formali – non esisteva un contratto di pubblicazione, quindi non poteva esserci stata una discriminazione nel trattamento – hanno comunque sostenuto che il contenuto delle due storie censurate fosse contrario a una specifica legge proprio a tutela dei minori.

La norma in questione ritiene dannosa per il giovane pubblico ogni informazione «che esprime disprezzo per i valori della famiglia, o incoraggia una concezione del matrimonio e della creazione della famiglia diversa da quella sancita dalla Costituzione e dal Codice Civile»; vale a dire, l’unione tradizionale tra uomo e donna.

Una norma assai controversa già in Lituania, poiché frutto di un lungo processo politico che voleva inizialmente inserire espressamente, tra le informazioni nocive per ɘ più piccolɘ, la promozione dell’omosessualità, della bisessualità e della poligamia.

Gli influssi di questo dibattito si intravedono anche nella formulazione definitiva della legge e dalla sua applicazione per censurare espressioni del mondo LGBTQ+ come il libro in esame ne confermano questo aspetto. Nel dettaglio, si è affermato – tra i vari argomenti – che il libro dipingesse le relazioni omosessuali come migliori di quelle eterosessuali. 

I giudici lituani hanno tenuto fede a questa interpretazione e le domande dell’autrice non sono state accolte nonostante una sentenza della Corte Costituzionale lituana – in un altra sede di giudizio – avesse esteso il concetto di famiglia comprendendo anche quelle non tradizionali.

Da qui il ricorso alla Corte EDU, che invece ha dato un’altra lettura alla questione, accertando una limitazione della libertà di espressione dell’autrice. 

La Corte di Strasburgo, infatti, ha accertato che sospendere la distribuzione dell’opera e riprenderla con l’avviso di un potenziale danno per i minori di 14 anni abbia leso la libertà di espressione alla scrittrice e lo abbia reso poco appetibile al pubblico per cui era destinato (bambinɘ di 9/10 anni) offrendolo a chi, molto probabilmente, lo avrebbe scartato in quanto già infantile per la propria età; senza dimenticare l’effetto dissuasivo che una simile etichettatura avrebbe potuto avere sui genitori, certamente persuasi a non comprarlo. 

Questa limitazione è stata ritenuta illegittima dalla Corte EDU, che non ha riscontrato nessuna delle censure mosse dalle corti lituane e, anzi, ha valorizzato come le storie trattino l’amore omosessuale alla pari di quello eterosessuale. Pertanto, ha riconosciuto l’intento antidiscriminatorio ed educativo delle storie in questione, nonché l’importanza di questa opera divulgativa in una società democratica. 

La vicenda di The Amber Heart si è quindi conclusa con un lieto fine, anche se la sua autrice non è sopravvissuta per vederlo.

Questo precedente è molto significativo, poiché sconfessa la legittimità alle norme internazionali di certe politiche conservatrici per cui la tutela delle persone minori può giustificare una limitazione all’espressione del mondo LGBTQ+. Se si tratti di un punto fermo o solo di una tappa nel contrasto alle politiche più conservatrici e illiberali, non si può ancora dire. Certamente lascia fiduciosɘ, soprattutto considerando che la Corte di Giustizia UE è stata recentemente incaricata di un ricorso contro l’Ungheria per questioni sostanzialmente analoghe a quelle qui esaminate.