di Ren Cerantonio
Noah Schiatti, classe ‘96, studia Linguaggi del fumetto all’Accademia di Belle Arti di Bologna e collabora con diverse autoproduzioni. Ha vinto il concorso indetto da BeComics 2020 Green is the new black con quattro tavole sulla responsabilità ambientale e ricevuto una menzione al concorso di Lucerna 2020. Il poster di questo mese, grazie al suo stile onirico e suggestivo, ci restituisce la fragilità della situazione che stiamo vivendo.
Come hai scelto di rappresentare il contagio e in che modo la quarantena ha influito?
Avverto la mancanza delle esperienze, dell’assorbire stimoli che sono fondamentali per lo sviluppo di idee, del contatto passivo con le altre persone quando le vivi senza interagire, l’ascoltarne i dialoghi.
I personaggi nell’illustrazione lo riflettono, hanno bisogno di toccarsi e sentirsi, seppur separati dalle membrane: l’enfasi è sulle mani che cercano il contatto.
Sono cellule parte dello stesso organismo e mi affascinava l’idea di entrare e rendere visibile ciò che non lo è, esattamente come il contagio.
Dal concorso di Lucerna, ho reso il tema “network” come cellule che diventavano tralicci del telefono, fili del computer che si riconnettevano a una persona.
Ho iniziato una ricerca grafica dove i tessuti cellulari rappresentavano le connessioni, il far parte di un sistema più grande.
Traspare una forte esigenza di raccontare. Come lavori tecnicamente e quale linguaggio usi di più?
Lavoro molto in digitale, perchè sono impulsivo e mi permette di cambiare le cose mentre ci lavoro, ma preferisco comunque il tradizionale per la sua imprevedibilità e incertezza, come il tratto di una biro scarica che si rivela interessante.
Sto portando avanti una ricerca sulla linea che mi permetta di tradurre graficamente concetti astratti come l’interiorità e l’inconscio, e per questo mi concentro molto sulla linea. Il fumetto si presta bene, in quanto linguaggio nato dalla commistione dell’immagine e del testo. È qualcosa di fortemente esperienziale, è fruito e interiorizzato individualmente: lo trovo quindi il più adatto a restituire sensazioni ed emozioni.
Quali tematiche vuoi trattare e su cosa stai lavorando?
Ovviamente mi stanno molto a cuore le tematiche LGBT+, in particolare quelle trans*. Ho avuto un grande bisogno di consumare opere dove potessi riconoscermi, ma ho dovuto scavare molto per trovarne. Specie senza personaggi trans che non fossero legittimati dall’accettazione di persone cis dopo una lunga sofferenza.
Vorrei narrare storie diverse, che non riflettano un’ossessione per i corpi e il loro cambiamento, ma concentrarmi su aspetti dell’esperienza trans* come i pensieri, i dubbi, l’autodeterminazione e i confini labili. La tesi su cui sto lavorando sarà incentrata sull’identità in senso più ampio, toccando ovviamente quella di genere come aspetto che ognuno di noi dovrebbe indagare.
Come descriveresti le tue opere?
Una volta mi dissero: «ricorda la malinconia alla fine di una giornata», e credo fosse una sensazione adatta alle storie non necessariamente felici che sto realizzando.
Pubblicato sul numero 55 della Falla, maggio 2020
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