Giacomo Guccinelli, in arte la Teogonia illustrata, è illustratorə freelance per diverse case editrici, concept artist (in particolare di videogiochi), spacializzatə in Animazione tradizionale e Animazione 3D e coordinatorə didatticə per TheSIGN – Comics & Arts Academy di Firenze. Quarantadue anni a breve, è di origine ligure e di famiglia partigiana da cui impara l’attivismo sui luoghi della Resistenza. Trapiantatə a Pisa, studia lettere e collabora con l’Arcigay locale, per poi diventare delegatə Giovani, Scuola e Università e consulente della segreteria nazionale e contribuire alla fondazione di Pinkriot, portando nell’associazione, insieme all3 altr3 volontari3, maggiore attenzione ai temi del trasfemminismo intersezionale. Dopo questa esperienza decide di dedicarsi maggiormente all’artivismo, collaborando tra le tante con Amnesty, per cui ha lavorato a un videogioco sull’hate speech. Con il collettivo Moleste, si occupa di violenza e abusi nei mondi del fumetto, e collabora con passione per la creazione di artwork e contributi visivi per pride dal basso come La Spezia Pride e Mostruosɜ Pride di Siena.

Tra numerosissimi progetti e attività, citiamo anche la passione per le piante e per la musica barocca. Al momento sta collaboranto a un progetto di artivismo con l’Università di Roma tre sulle migrazioni forzate nel Mediterraneo e a un mazzo di tarocchi queer, decoloniali e antispecisti.

Come redazione volevamo tornare a parlare di identità aromantiche e asessuali, e tu ci hai proposto di esplorare il tema dell’assenza. Da dove viene questa idea?

A livello mainstream la rappresentazione aroace è scarsissima. Io mi occupo della selezione dei cortometraggi animati per il Florence Queer Festival, e cerco ogni anno opere un pochino più di nicchia, che trattino delle identità e delle microetichette più marginalizzate e invisibilizzate. Anche lì trovare qualcosa sull’asessualità e l’aromanticismo, così come anche sul poliamore, è molto, molto complesso, ma è proprio dall’indie che bisogna partire. Lo spettro aro/ace è sicuramente atipico, e per rappresentarlo spesso si ragiona per assenza, per sottrazione. Le persone nello spettro ace vengono viste come autosufficienti, invece nel mio caso, ad esempio, una delle mie più grandi difficoltà è la solitudine.

Ma laddove molte persone vedono il vuoto e inesistenza, in realtà ci sono tantissime sfumature identitarie, ma anche nel modo di vivere le relazioni – come per me anche l’anarchia relazionale. Per quest’artwork ho preso come riferimento le montagne di alcune zone del mondo estremamente rigogliose, piene di vegetazione. E all’interno della montagna bucata ci sono un sacco di cose non immediatamente visibili. Mi ha aiutato molto il vincolo del verde che mi avete dato, perché così l’illustrazione ha due tempi di fruizione. Uno più rapido, che è quello della creatura subito riconoscibile e poi uno più lento, che è quello invece legato all’interno, per i quali i tempi di decodifica si allungano. Questo perché nell’indagine di tutti i funzionamenti, di tutte le identità atipiche, si deve stare nella scomodità. Bisogna fare un po’ come l’appeso dei tarocchi, cioè mettersi a testa in giù: ci va il sangue alla testa, ma ci porta anche a vedere le cose da un’altra prospettiva. E poi dobbiamo ricordarci che vediamo non soltanto tramite lo spazio positivo, cioè quello pieno è visibile, ma anche tramite quello negativo, che è tutto ciò che invece è vuoto.

Le illustrazioni del tuo progetto La Teogonia illustrata mi hanno sempre fatto pensare a qualcosa di sacrale e indefinito, sia per il titolo, sia perché mi ricordano delle enormi e indecifrabili statue ieratiche. Quanto c’è di questo nel poster che ci hai disegnato?

La Teogonia è quella di Esiodo in cui nascono i mostri, e rappresentarli per me vuol dire disegnare identità e corpi mostruosi e quindi queer come tutto ciò che è prodigioso ma anche spaventoso. Il sacro poi per me può essere anche molto laico, e anch’io le immagino come creature gigantesche. E soprattutto in un mondo in cui chiunque vuole darti una soluzione, ti dice come vivere o come fare per essere felice, voglio che queste opere non abbiano interpretazioni univoche, che le espressioni siano indeterminate e possano significare anche il loro opposto, e siano un modo per ragionare su di sé.

In questa illustrazione ho voluto creare un senso di connessione: questə gigantə fa parte in maniera intuitiva di un contesto naturale e c’è una continuità perfetta tra la simbologia antropomorfa, zoomorfa e anche floreale; è una rivendicazione di una fluidità naturale oltre le identità egemoniche. È un immaginario che in fondo mi appartiene molto, ho fisso nella testa il Dialogo tra la natura e un Islandese di Leopardi.

Dalla tua prospettiva di attivista ecletticə, qual è valore dell’artivismo oggi in Italia?

Secondo me è necessario per diversi motivi: anzitutto il disegno universalizza un contenuto rispetto alla forma scritta per la questione della lingua – ma non totalmente, certo, sarebbe anzi colonialista sostenerlo. In confronto al testo, il disegno può aiutare ad abbattere anche delle barriere rispetto alle disabilità e alle neurodiversità, e può avere una circolazione maggiore sui social. Altro punto fondamentale per me è quello di rimettere l’artista al centro del dibattito politico e culturale, visto che oggi sembra possano esprimersi solo le persone che abitano gli ambienti accademici. E di questo me ne rendo conto facendo formazione ad artistə di vent’anni che sono completamente sfiduciatə da questa violentissima cultura classista. L’artivismo per me deve creare rete e unità non solo tra persone che si occupano di arte, ma anche di chi si occupa di saperi differenti, ma politicamente, culturalmente, socialmente ed economicamente adiacenti. In Italia ci sono esperienze bellissime di artivismo, ma presenti a macchia di leopardo, perché scontiamo dei cortocircuiti politici e dei compromessi non facili da governare. Consapevoli comunque di tutti i privilegi che questa affermazione sottintende, se come artivista mi esprimo contro il genocidio in Palestina posso rischiare che il giorno dopo un’azienda cliente interrompa le collaborazioni. È per questo che l’artivismo deve partire dall’indie e dall’anticapitalismo, perché diventare pop può aiutare la diffusione, ma significa smussare gli spigoli, e un attivismo che rinuncia alla scomodità diventa marketing.