LA NINFOMANIA E LA PATOLOGIZZAZIONE DELL’INSICUREZZA MASCHILE

Non c’è niente di più imprevedibile e pericoloso dell’ego ferito di un uomo eterosessuale. A confermarlo non è solo la cronaca nera, nerissima, dei femminicidi, ma anche l’evoluzione della medicina e nello specifico della psichiatria.

Per avere una dimostrazione chiara dell’affermazione precedente si cerchi alla voce “Ninfomania”. Il termine ninfomane è stato coniato dal medico francese J.D.T. 

Bienville nel suo studio La ninfomania, ovvero trattato del furore uterino

Correva l’anno 1771 e, scomodando le mitologiche ninfe, si attribuiva per la prima volta una valenza patologizzante a quella che oggi viene chiamata ipersessualità femminile. 

La tesi era semplice: un appetito sessuale fuori dalla norma veniva etichettato come una perversione. Il filosofo Umberto Galimberti spiega bene il passaggio dalla concezione di Bienville a quella che è stata la visione del fenomeno fino a tempi recenti: «E siccome non c’è gesto che non richieda una spiegazione, che cosa c’è di più facile che far ricorso alla patologia e giudicare “malata” ogni espressione che turba il proprio potere e il proprio dominio sulla donna? Alcune definizioni psichiatriche come l’isteria e la ninfomania raccontano molto più delle difese degli uomini nei confronti delle donne, di quanto non dicono delle patologie femminili». 

La ninfomania, infatti, venne rapidamente promossa da perversione a patologia sessuale femminile – meno citata l’equivalente maschile, la satiriasi – caratterizzata dalla ossessiva e compulsiva ricerca di partner sessuali senza che a essa fosse necessariamente legata la ricerca del piacere. 

Ninfomania come patologia, quindi, fino al 1992, anno in cui l’Oms decide di derubricarla a disturbo comportamentale. Si dovrà aspettare il 1995, invece, per vederla esclusa dall’elenco delle patologie psichiatriche e dal Dsm-IV (il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, ndr): la ninfomania, così, viene ricondotta nell’alveo della ipersessualità e della dipendenza da sesso, ridefinita come una accentuazione quantitativa della sessualità. 

Un’esaltazione degli impulsi sessuali che, al pari delle altre dipendenze alle quali viene accostata, può avere ripercussioni serie e che comprende anche la masturbazione ossessiva. Fuori dal Dsm o meno poco importa, perché su un punto non è cambiato nulla dal 1771: ninfomane è, nell’uso comune, un insulto al pari di puttana, da rivolgere a ogni donna la cui sessualità esca anche solo un po’ dagli schemi. È sempre Galimberti a dare una spiegazione di questo fenomeno, descrivendolo come un prodotto dell’immaginario maschile che teme la sessualità attiva della donna. 

L’aggettivo “attiva” è la chiave di lettura per comprendere l’evoluzione delle visioni sul tema: l’uomo, inteso come maschio eterosessuale, si compiace all’idea di essere l’esca del fuoco del desiderio femminile, ma al contempo ne risente, nel momento in cui la donna dimostra di potersi attivare anche senza che l’uomo faccia alcunché. 

L’uomo, insomma, si ritrova in quella condizione di passività in cui è abituato a mettere la donna, e il suo ego, la sua virilità percepita, ne risente. 

La donna che attiva la sua sessualità, dice il filosofo modenese, priva di potere l’uomo e questo se ne vergogna, iscrivendo la sessualità non conforme della donna nelle patologie. Una sorta di volpe che non arriva all’uva e allora dice che è troia, insomma. Sì, non c’è niente di più imprevedibile e pericoloso dell’ego ferito di un uomo eterosessuale.

Pubblicato sul numero 55 della Falla, maggio 2020

Immagine di copertina libero.it, immagine nel testo scienzenotizie.it