È la nostra forma di riappropriazione culturale, quella delle persone disabili: spogliamo dello stigma le parole normalmente associate alla disabilità e poi le indossiamo apertamente e con gioia, togliendo potere all’insulto e ribaltandone il significato. Esattamente come è successo con i termini nigger (negro) e queer (strano), noi usiamo crip (o cripple), un sostantivo difficile da tradurre in italiano, ma riconducibile all’incirca a storpio. Alcunə attivistə lo hanno recentemente rivendicato e hanno cominciato a usarlo in seno alla comunità, per riferirsi a noi stessə, facendolo diventare un termine politico.
Non è mai stata una guerra fra chi è disabile e chi non lo è: il processo di riappropriazione della lingua è tanto difficile da portare avanti proprio perché parte di un problema che nasce da fuori, ma è ormai così radicato, anche fra le persone con disabilità, che diventa complicato da estirpare. Più in generale parliamo dell’abilismo, la forma di discriminazione che subiscono le persone disabili, la nostra personalissima versione del «ma io non sono contro i disabili, anzi: ho anche tanti amici così».
Come ogni minoranza marginalizzata, infatti, anche noi abbiamo le nostre belle gatte da pelare: esiste la discriminazione per etnia o razza (il razzismo), quella che si crea fra le varie generazioni (ageismo), le discriminazioni su base religiosa. La nostra è lievemente più subdola e complessa, per almeno due ragioni.
La prima è che l’abilismo è talmente diffuso e permeato nella società da essere il più delle volte ignorato, o non riconosciuto, o scambiato per un moto di altruismo e di pietas nei confronti di «chi è più sfortunato». Nessunə con un minimo di sensibilità si sognerebbe più di apostrofare una persona omosessuale con “bel frocetto”, mentre è ritenuto ancora socialmente accettabile – se non addirittura affettuoso – definire “bambini speciali” chi vive una qualsiasi forma di disabilità.
Non siamo tuttə angeli o martiri; non tuttə siamo venutə al mondo con il solo e ultimo fine di portare sulle nostre spalle tutte le sofferenze dell’umanità: la disabilità non è una colpa che si espia, né una condizione che si riceve in sorte per essere messə alla prova. Non tutte le persone disabili vivono un’esistenza fatta di dolore e sofferenza, la disabilità non sempre è sorella della malattia e questo è un particolare che persino noi disabili tendiamo a dimenticare. Perché, ammettiamolo, non ce la rendono facile: tutti impegnati – letteratura, cinema, tv, sport – a rappresentarci come persone dalla tempra d’acciaio che sfidano la vita a muso duro e affrontano difficoltà insormontabili per riuscire a fare le stesse, identiche cose di una persona normodotata. Va a finire che ci credi, che ti senti un supereroe. Ma è lì che pecchiamo tuttə – noi che ci crediamo e chi ci induce a crederci – di abilismo, e anche un po’ della tanto pericolosa ubris greca. Per la società è solo molto più facile, e sbagliato, farti notare quanto sei bravə a fare ciò che fai nonostante i tuoi problemi, anziché impegnarsi a sistemare il mondo affinché tu possa semplicemente sfruttare al meglio le tue capacità. Ed è questa la seconda ragione che rende l’abilismo un’erbaccia particolarmente infestante: nemmeno noi vittime ci accorgiamo che, goccia dopo goccia, affoghiamo in un mare di discriminazione.
L’altra faccia della medaglia è vivere intrappolatə nel vittimismo più buio e pietrificante, quello che ti fa dire ogni mattina che la tua vita non vale la pena di essere vissuta per colpa della disabilità. È un’altro tipo di narrazione che va a braccetto con la prima e che trova terreno fertile nell’immaginario collettivo: raramente incontriamo libri o film con protagonistə disabili in cui ləi non si senta inutile, un peso per chi lə sta attorno. In questi capolavori, spesso la persona disabile, depressa e consumata dalla sofferenza, muore o decide di togliersi la vita. La morale sottile e sfuggente che insaporisce questi finali sa di liberazione per tuttə, per chi se n’è andatə e per chi resta. Sono storie che fanno comunque breccia nel cuore del pubblico: persino la cronaca più oggettiva del giornalismo ama raccontare di storie dolorose di difficoltà e patimenti; alcune finiscono in tragedia, con suicidi o omicidi di disabili diventatə troppo impegnativə da accudire.
Anche in quel caso l’accento non viene messo sulla sacrosanta, urlante esigenza di ogni disabile ad avere rispetto e assistenza per la propria vita, ma viene spostato sulla disgraziata esistenza di una «persona affetta da disabilità». Siamo nel XXI secolo e ci siamo evulutə da poco da quando la disabilità era una sventura vergognosa da nascondere. Io sono nata nell’agosto 1983 e una zia che voleva molto bene a mia madre l’ha rassicurata dicendole che presto sarebbe arrivato l’inverno a Milano e non avrei potuto più uscire di casa per un po’ a causa del freddo, così lei non avrebbe più avuto il problema di farmi vedere in giro.
Oggi, Elena e Maria Chiara Paolini, nel loro Mezze persone, ci ricordano che con «pride si intende la fierezza di avere una certa identità sociale marginalizzata pur se – e proprio perché – si tratta di una identità marginalizzata. Possiamo immaginarcelo come il contrario dell’oppressione interiorizzata. Coincide in parte con l’identità di gruppo, e questo significa che è molto importante per costruire una resistenza “di gruppo” alla discriminazione e alla violenza: una sorta di collante che favorisce la solidarietà e il supporto reciproco».
Oggi, anche le persone disabili fanno comunità e possono riconoscersi e confrontarsi fra loro; esistono molte pagine web e altrettanti profili social che parlano di disabilità in modo schietto, pulito, vivo. Persino divertente, perché anche della disabilità si può ridere. Fate un giro sul gruppo Facebook di Tè, biscotti e abilismo, sul profilo Instagram di Marco o su quello di Anna, solo per citarne alcuni: il loro personalissimo modo di raccontare le disabilità è autentico, coinvolgente e lontano anni luce dall’inspiration porn che troppo spesso impregna la narrativa sulle persone disabili e stuzzica chi legge.
Per approfondire:
Mezze persone. Riconoscere e comprendere l’abilismo – Elena e Maria Chiara Paolini (AutAut, 2022)
- Nulla su di noi senza di noi: Una ricerca empirica sull’abilismo in Italia – Rosa Bellacicco, Silvia Dell’Anna, Ester Micalizzi, Tania Parisi (Francangeli, 2022)
- Crip ommentary – Laura Hershey (in inglese)
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