Crescere queer significa necessariamente percepire una differenza fra sé e gli altri. Una bambina a cui vengono imputate delle maniere troppo maschili, un bambino che chiede di essere chiamato con un nome maschile anziché con il suo deadname. Tutti questi eventi mettono in crisi la persona queer, perché di fatto la nostra sessualità e la nostra identità di genere ci appaiono naturali finché qualcuno non ci dice che non vanno bene. Tuttavia, allә bambinә manca ancora il lessico per dare un senso a questo divario che appare incolmabile. Questo ritardo nella consapevolezza può essere compreso meglio attraverso il concetto di différance di Jacques Derrida. Questa différance è percepita attraverso l’incontro con l’altro, con la società. Gli esempi sono molteplici e pleonastici. Il trauma di quello che è stato definito proto-gay child sta proprio qui. Ci si accorge di non poter far parte del gruppo omogeneo ed eteronormato della società ma non si capisce perché. Non si hanno le parole, le nozioni. Tutto sembra confuso. Scatta dunque un meccanismo di chiusura o alienazione.

Oliver Twist

Si spiegano così fenomeni come la cosiddetta seconda adolescenza delle persone queer. Negli anni del liceo l’eterosessuale cis-genere può sperimentare e giocare con la propria sessualità e la propria romanticità, in quanto si trova in un mondo fatto per lui/lei. La società lo/la guida e incanala attraverso norme sociali e aspettative e lui/lei si lascia trasportare in questa crescita verticale, strutturata e protetta. Per la persona queer questo non avviene. Non solo, per l’appunto, passa molto più tempo a interrogarsi sulla propria identità e ad accettarla, ma si trova anche in una società che non lo prende veramente in considerazione. Al di là dell’accettazione sociale, la persona queer deve fare i conti con un bagaglio culturale non indifferente che lә impedisce di crescere verticalmente. 

Qual è l’alternativa? Uscire da questo schema e crescere in orizzontale

Crescere orizzontalmente (growing up sideways), come dice Kathryn Stockton, significa diventare adulti con questa scheggia, questo ritardo nella consapevolezza di sé. Questa discrepanza può creare un trauma o aprire la via a una moltitudine di potenzialità. L’eteronormatività è teleologica, ovviamente, e richiede costantemente la propria ripetizione. Come possiamo, però, ripetere uno schema se quello schema non ci rappresenta più? Questo è un tema caro alla letteratura e al cinema queer ma anche a parte della letteratura per young adults. Il giovane queer si trova allora a passare più tempo con sé stessə e a riflettere su sé stessə. Questo, naturalmente, non preclude capacità introspettive all’eterosessuale cis-genere, ma sottolinea la complessità delle riflessioni che il giovane queer si trova a dover elaborare prima ancora di aver potuto elaborare sé stessə. Ecco che allora si parla di seconda adolescenza. 

Una volta usciti dal sistema scolastico, quando si è all’università o alle prime esperienze lavorative, si inizia a vivere quella sperimentazione che «gli altri» hanno vissuto anni prima. Mi chiedo però se si possa parlare veramente di seconda adolescenza o piuttosto del prolungamento di un’unica adolescenza più lunga. Questa è la domanda a cui si cerca di rispondere nella ricerca sul romanzo di formazione, per esempio: nel mondo post-moderno esiste ancora l’età adulta?

Mi spiego meglio. Viviamo una prima adolescenza, in un certo senso fallimentare, e poi ricominciamo, oppure esperiamo un’unica, lunga adolescenza? Entrambe sono opinioni valide. D’altronde, in quanto persone queer l’età adulta intesa in senso tradizionale ci è stata a lungo preclusa, e la strada è ancora lunga. Secondo diversә sociologә si diventa adulti quando si realizzano cinque eventi: compimento della crescita fisica, impiego fisso, indipendenza economica, matrimonio, prole. Questa visione estremamente ripetitiva e teleologica non prende in considerazione l’individualità delle persone e la loro potenzialità, ma soprattutto dimentica un fattore fondamentale a lungo ignorato, ossia che non si smette mai di crescere

In letteratura, per esempio, questo cambiamento si vede nei finali dei romanzi di formazione. Mentre in passato la trama coincideva con l’arrivo all’età adulta del protagonista e la sua accettazione in società (si pensi a Oliver Twist di Dickens, Bel Ami di Maupassant o anche solo a Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen, se vogliamo considerarlo un romanzo di formazione), ora i finali si aprono e non ci danno indicazioni precise. Pensiamo a Un giorno questo dolore ti sarà utile di Peter Cameron, romanzo da cui è stato tratto l’omonimo film nel 2011, in cui il finale corrisponde proprio con l’accettazione di sé del protagonista, che si accinge ad andare all’università pronto per l’esplorazione che i suoi coetanei eterosessuali hanno già vissuto.

La crescita orizzontale sta proprio in questa soppressione delle categorie. Non si vuole più essere considerati adolescenti, universitari, adulti, eccetera, ma soltanto persone in una continua crescita, in una continua esplorazione. La différance delle persone queer diventa potenziale proprio in questo senso. Non vi è più una ripetizione da compiere, non si deve più soltanto «diventare adulti» e restare tali, ma si deve «planare».

Immagine 3 da letturemetropolitane.it