SORDITA’ LGBT+

versione audio qui

Sordo non equivale a muto, sordo non equivale automaticamente a persona che usa la Lingua Italiana dei Segni (LIS), sordo non equivale a privo di sessualità (tutti i sordi hanno un orientamento sessuale e questo non è necessariamente eterosessuale), alcuni sordi sono artisti o personaggi pubblici, ma ciò non implica che parlino anche della loro disabilità.

Tutte queste affermazioni sono vere in linea di principio, ma spesso non lo sono nella rappresentazione data dai media italiani e anglosassoni. Solitamente, preferiscono l’esempio commovente del sordo muto che si esprime solo tramite la lingua dei segni e ha bisogno di un interprete per rapportarsi con il mondo esterno. Questo poteva essere realistico fino a una quarantina di anni fa, mentre al giorno d’oggi il sordo medio è una persona autonoma, che indossa protesi acustiche a conduzione ossea o impianti cocleari (a seconda del tipo di perdita uditiva), e ha imparato a parlare con anni di logopedia, quindi studia e lavora come tutti, chiedendo soltanto qualche piccolo adattamento, come non parlargli coprendosi la faccia o prestarsi a ripetere una frase quando non viene capita subito.

A usare la lingua dei segni ormai sono solo persone anziane o vissute nel periodo di transizione in cui queste novità non erano molto diffuse, insieme a sordi che hanno anche altre patologie o semplicemente una riabilitazione più difficile, e persone affette da disturbi del linguaggio. Ottimi esempi in tal senso dovrebbero essere il talentuoso pianista Davide Santacolomba, esibitosi a Italia’s got talent, a riprova che con adeguato impegno un sordo può avere una buona educazione musicale, e la scrittrice Erika Polignino, la quale, nei propri romanzi – legati alla subcultura goth – scrive di bisessualità e lesbismo, ma mai della propria disabilità, menzionando quest’ultima in post sporadici sulla propria pagina Facebook.

L’utilizzo di strumenti specifici a supporto dell’udito è possibile anche grazie al fatto che l’Italia gode ancora di un sistema sanitario nazionale che copre del tutto o per la maggior parte le spese legate ad acquisto, manutenzione, riparazione di protesi e impianti, e le sedute logopediche, creando quindi un bacino di sordi in linea con quanto descritto sopra.

Invece negli Stati Uniti la situazione è molto più variegata, perché ricevere protesi o impianti o logopedia dipende dall’avere o meno un’assicurazione sanitaria, quindi è più economico insegnare comunque a tutti i sordi la lingua dei segni per poi differenziare gli strumenti usati a seconda di quanto si può pagare, indipendentemente dai risultati ottenuti.

Buoni esempi sono Jodi Lerner, personaggio della serie The L World, interpretata dall’attrice Marlee Matlin, che è una bilingue inglese-lingua dei segni, insieme a Nyle DiMarco, modello sessualmente fluido vincitore di America’s Next Top Model e sordo segnante, che ha destato scalpore decidendo di non usare protesi acustiche; così come Jessica Kellgren-Fozard, youtuber e blogger felicemente ammogliata, che oltre a parlare di vintage tenta di analizzare i rapporti tra sordità e omosessualità.

Al di là di web e media, dove si può trovare una persona sorda in cerca di divertimento? Più probabilmente in una galleria d’arte o in una libreria o a guardare film e serie sottotitolati su Netflix, meno spesso in discoteca e tra le poltroncine di un cinema o a teatro (non a caso negli ultimi anni c’è stato un fiorire di iniziative per rendere tali spettacoli fruibili a tutti). Questo perché un supporto scritto alle parole pronunciate libera dal dubbio di non aver capito qualcosa o di avere le protesi malfunzionanti. Aver bisogno di – relativamente – pochi adattamenti nella vita quotidiana non equivale a sentirsi sempre perfettamente integrati tra i normoudenti e quindi ad accettare i loro modelli di riferimento e la rappresentazione che danno della sordità. La sfida di questi anni è controbattere alla narrazione che presenta la sordità come una condanna all’emarginazione, facendo in modo che le persone sorde abbiano gli strumenti per capire sé stesse e la propria sessualità, e possano quindi parlare in prima persona senza delegare questo compito.

pubblicato sul numero 43 della Falla, marzo 2019