I disturbi del comportamento alimentare (DCA) sono sofferenze mentali con cause complesse e multifattoriali che, sommate ad altri elementi, contribuiscono al mantenimento delle stesse nel tempo. Da questa verità non possiamo scappare: i disturbi alimentari non hanno mai una causa univoca né un solo evento scatenante. Lo sviluppo del disturbo è il risultato di un’intricata trama fatta dell’interazione fra fattori genetici, psicosociali e ambientali, che trovano terreno fertile in un evento scatenante. I fattori di rischio da soli, peraltro, non possono essere unici responsabili dell’insorgenza di un disturbo del comportamento alimentare; essi accrescono, piuttosto, le possibilità che quel disturbo insorga proprio in quella persona. Fatta questa doverosa premessa e, stabilito che non esistono risposte semplici, possiamo approfondire le responsabilità della società nei confronti dei DCA.

In ogni ricerca sui disturbi del comportamento alimentare e i fattori di rischio noi troveremo lo stigma del peso. Che qui, per scelta, chiameremo più propriamente grassofobia. Nascere e crescere in un contesto sociale che idealizza culturalmente la magrezza e la associa a un modello di bellezza e salute, assottigliando al minimo le differenze accettabili fra un corpo e un altro e rimandando costantemente a un’immagine di corpo riconosciuto come adeguato e corretto fissa e stringente, è necessariamente un problema. È un problema perché non concepisce la non conformità del corpo a un modello imposto, è un problema perché ha la pretesa di diventare indicatore di salute, è un problema perché inserisce i corpi in una scala valoriale piramidale. E dire che un corpo acquista tanto valore quanto più si avvicina alla magrezza è un messaggio pericolosissimo.

Da questo, dalla grassofobia, deriva tutto il resto. Perché se l’ideale di bellezza e salute individuato è quello del corpo più magro possibile, allora la cultura della dieta fornisce e moltiplica gli strumenti dati alle persone per raggiungere quella visione aspirazionale di sé. Legittimare il messaggio che ogni corpo è sbagliato (davvero ogni corpo, a differenza dell’oppressione sistemica la pressione estetica e sociale si abbatte indiscriminatamente su ogni persona) vuol dire minare la salute mentale delle persone in partenza, predisponendole a una maggiore fragilità e vulnerabilità sul tema dell’aspetto, dell’autopercezione, della condotta alimentare. La discriminazione sulla base del peso è pervasiva in ogni ambito della nostra vita, viene introiettata e diventa credenza legittimata perpetua.

Lo possiamo vedere ogni volta che celebriamo la perdita di peso di una star hollywoodiana o ogni volta che viceversa facciamo notare con un certo disappunto o con scherno l’aumento di peso a una persona vicina; ma, ancora, ogni volta che ci alimentiamo in maniera più ricca del solito ed esprimiamo preoccupazione al pensiero di aver messo su dei chili. Questo riguarda le nostre pratiche più comuni e diffuse, ma noi facciamo solo da specchio e veicolo al bombardamento di messaggi di questo tipo della società.

Fra gli eventi scatenanti dei DCA cui accennavamo prima, il fallimento ripetuto delle diete è riportato fra i primi. Sono gli studi e le ricerche condotti in merito a dirci che la maggior parte delle persone che soffrono di DCA ha alle spalle molti tentativi di dieta. Per proseguire con gli aspetti psicosociali e ambientali, è importante considerare che, ad esempio, il 60% delle donne (e persone socializzate come tali) riporta di aver subìto episodi di bullismo, discriminazione e derisione per il proprio peso. Se immaginiamo la pressione grassofobica come fosse acqua che entra in una stanza, e che ogni nuovo evento della nostra vita che ce la ricorda e la alimenta sia una secchiata d’acqua in più, non è difficile che si arrivi ad annaspare.

Sarebbe avventato – e scorretto in sostanza- dire che le persone sviluppino disturbi del comportamento alimentare in reazione a un mondo grassofobico. I DCA sono talmente vasti e articolati che ridurre tutto a un “volere un corpo più magro/subire le pressioni sociali di magrezza” risulta davvero offensivo per le persone che li vivono e sanno benissimo che il disturbo alimentare non può essere ridotto e semplificato a un’idea di bellezza, o a un numero su una bilancia: è un universo intero. Possiamo e dobbiamo, però, chiederci quanto e fino a che punto la grassofobia giochi un ruolo preponderante nel concorrere alle cause dei DCA, nel gettare solide basi su cui costruire diversi fattori che incrementano le possibilità che il disturbo insorga. Secondo evidenza scientifica, l’impatto psicologico e sociale dello stigma del peso è di ampissima portata (e non è ancora stato indagato a fondo) e ha una correlazione strettissima e preponderante con i disturbi del comportamento alimentare. Si interseca con le diverse identità sociali marginalizzate e vittime di oppressione e in virtù di questo è da trattare come una questione critica di giustizia sociale.

Dopo aver parlato del generale, mi permetto qualche riga di personale. Io, Biancamaria, sono una donna con un corpo grasso che ha sofferto di disturbi del comportamento alimentare per oltre dieci anni della propria vita. Parlo del tema con le mie risorse e i miei mezzi, che sono fondamentalmente una competenza esperienziale e la voglia mai sopita ma anzi costantemente rinnovata di informarmi tramite persone esperte nel campo per capire meglio quello che ho vissuto. E provare a fornire ad altre persone strumenti in più nel loro percorso. Non ho risposte, non pretendo di averne. Men che mai strade semplici e lineari. Sono però convinta, ora e sempre, che indagare collettivamente i fenomeni avvalendosi di tutto lo spazio possibile sia l’unico modo per arrivare a maggiori consapevolezze. Che si tramutano in speranza.

Fonti:

https://www.nationaleatingdisorders.org/weight-stigma

https://nedc.com.au/eating-disorders/eating-disorders-explained/weight-stigma/

http://www2.psy.unsw.edu.au/Users/lvartanian/Publications/Vartanian%20&%20Porter%20(2016).pdf

https://www.issalute.it/index.php/la-salute-dalla-a-alla-z-menu/d/disturbi-dell-alimentazione

https://europepmc.org/article/MED/34444994

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