«Il lavoro e le cose brutte sono poste come antitetiche: se la prostituzione è una cosa brutta allora non può essere un lavoro.
Dal nostro punto di vista è più produttivo partire da un’altra premessa: non ha senso dare per scontato che qualsiasi tipo di lavoro – incluso il lavoro sessuale – sia una cosa buona. Chi non lo fa spesso pensa che vendere sesso debba essere un lavoro orribile, e molt* sex worker sono d’accordo. La differenza sta nel fatto che chi fa sex work pensa che il problema non si trovi nel sesso ma nel lavoro».
Revolting Prostitutes: The Fight for Sex Workers’ Rights (trad. Pasionaria)
In questi ultimi due anni, anche in Italia, il discorso sul sex work ha preso sempre più spazio. Da un lato abbiamo la pandemia, che ha portato alla luce quello che già era un dato di fatto: tropp* sex worker se la passano male e nell’ultimo anno e mezzo in tante sono sprofondate, soprattutto quelle più marginalizzate. Nessuna tutela, nessun aiuto, se non nelle forme del mutualismo dal basso come la campagna di crowdfunding Nessuna da Sola, promossa dal Comitato per i diritti civili delle prostitute, il collettivo transfemminista di sex worker e persone alleate Ombre Rosse, il MIT di Bologna insieme a una serie di unità di strada, associazioni e singole persone attive su tutto il territorio italiano. Dall’altro lato – in maniera complementare e opposta – abbiamo visto, sempre durante la pandemia, l’incremento della crescita del lavoro sessuale sul web. Pensiamo alla piattaforma digitale Onlyfans che, in questi ultimi due anni, ha fatto notizia principalmente per due motivi.
Il primo riguarda la sua impennata durante il lockdown. Secondo il Financial Times, le entrate della società sono cresciute del 553% durante l’anno fino a novembre 2020 e il numero di utenti è cresciuto da 20 milioni prima della pandemia a più di 120 milioni in 12 mesi (all’oggi saliti a 150 milioni). Insomma, Onlyfans deve la sua crescita e i suoi introiti quasi totalmente a chi fa sex work. Dal momento che tutta una serie di luoghi del lavoro sessuale offline non erano più accessibili o percorribili, chi ha potuto ha intrapreso la via del lavoro online.
L’altro motivo per cui di recente la piattaforma ha fatto notizia risale a pochi mesi fa. A metà agosto, senza alcun preavviso e a mezzo stampa, OF ha annunciato che a partire dal primo ottobre non avrebbe più permesso contenuti espliciti (genitali, masturbazione) adducendo come causa la pressione da parte dei processori di pagamento (Visa, Mastercard). Pochi giorni dopo la piattaforma ha fatto marcia indietro e ha tentato di rassicurare chi fa sex work che non sarebbero state cacciate e rinnovando loro completo supporto.
Perché un cambio di rotta così repentino? Perché sicuramente non si aspettavano una fuga così immediata e massiccia di molt* creator. Una fuga data da diversi fattori, tra cui la rabbia e il continuo stato di insicurezza finanziaria che comporta lavorare sui siti online. Non è la prima volta che una piattaforma arriva a fare grandi numeri grazie a chi lavora nel mercato sessuale per poi cambiare le linee guida e di fatto cacciare l* sex worker eliminando la loro fonte di reddito da un giorno all’altro. Per molt* non è stata una doccia fredda.
Dietro la dichiarazione di Onlyfans ci sono una serie di precedenti ed elementi che ci aiutano a chiarire chi sono gli attori in campo. Un fattore determinante è stato sicuramente l’approvazione, nel 2018, delle leggi FOSTA e SESTA negli USA, due leggi contro il traffico di esseri umani che hanno avuto un impatto talmente forte su siti come Craiglist, Reddit e in particolare su Tumblr e Patreon, che ha fatto sì che questi decidessero di bannare totalmente i contenuti sessualmente espliciti mettendo l* sex worker alla porta.
Onlyfans si inserisce in questa fase, accogliendo l* creator. Una fase che vede il mondo delle piattaforme di porno gratuito sempre più nel mirino per diffusione di materiale non consensuale e attraversato da inchieste e scandali, come nel caso di Pornhub, che ha portato Visa e Mastercard a sospendere temporaneamente i pagamenti in arrivo sul sito. Da qui la preoccupazione di Onlyfans di fare la stessa fine, nonostante la struttura della produzione di contenuti e le procedure di controllo siano molto diverse e stringenti.
Tutto è bene quel che finisce bene? No, per nulla. Da un lato chi fa sex work online sta iniziando a cercare di dipendere sempre meno da un’unica piattaforma e magari creare dei propri siti o canali. Diversificazione, autonomia e insicurezza finanziaria sono forse le parole che meglio descrivono la situazione attuale. Dall’altro lato è necessario smontare la narrazione per cui durante la pandemia l* sex worker hanno spostato il loro lavoro online. Questo discorso può valere per una piccola percentuale.
C’è tutta una fetta di chi fa sex work per cui non è andata affatto così; quella composta dalle persone più marginalizzate, che spesso si ritrova a non avere documenti (quindi non potersi registrare sui siti, fare le verifiche, aprire conti bancari, etc) e a non possedere gli strumenti per dotarsi di un’alfabetizzazione digitale. Anche l’esclusione linguistica ha un peso rilevante. Sex worker che non hanno quindi avuto alcun piano b, che sono rimaste ferme per circa un anno, hanno accumulato debiti, non hanno ricevuto nessuna forma di supporto o tutela e che si trovano oggi di fronte ad un mercato ridotto allo stremo, che fa fatica a riprendersi.
Risulta sempre più chiaro, quindi, perché il problema in tutto questo non sia il sesso, ma il lavoro. Un lavoro non riconosciuto per via dello stigma e continuamente attaccato da leggi abolizioniste che non fanno altro che ridurre al minimo i diritti di chi fa sex work.
Ancora una volta, è alla decriminalizzazione che si deve puntare. Fino a che in Italia l* sex worker non potranno riunirsi e costituirsi in sindacati, cooperative, assemblee, collettivi, sarà impossibile organizzarsi come categoria e iniziare una vera lotta per portare avanti rivendicazioni e farsi forza contrattuale, avendo come orizzonte l’autonomia lavorativa.
Ed è per questo che «Sex work is work» non è uno slogan vuoto, ma la prima rivendicazione dell’agenda politica dell* sex worker in tutto il mondo.
Non abbiamo bisogno di opinioni, confronti o analisi. Quelle le hanno già prodotte le dirette interessate. Abbiamo bisogno di supporto, alleanze, ascolto. A partire dal movimento transfemminista, che non può più rimandare una presa di posizione pubblica, chiara ed esplicita.
Immagine in evidenza da contropiano.org
Immagine 1 da teenvogue.com
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