A cinque anni di distanza dall’acclamato ep di esordio, boygenius tornano sulla scena con un attesissimo album. Questo sarebbe l’incipit banale di una recensione su rivista insignificante. Ma in boygenius di ordinario non c’è nulla e neanche nella Falla.

Non do per scontato che tuttә, tra chi legge abitualmente questo giornale, sappiano cosa sia boygenius. Non parliamo di ragazzetti geniali, ma di un progetto che è più della somma delle tre singole musiciste queer che lo abitano. 

A ogni boy, fin dall’infanzia, viene detto che può fare tutto, che è un genius. C’è una costante spinta verso l’autostima di bambini e ragazzini da parte di chi li circonda. Puoi osare, hai la libertà di sperimentare, fare, verso l’infinito e oltre! Non credo di aver bisogno di soffermarmi su questo punto, lo do per assodato per chi legge La Falla.

boygenius nasce da una chiacchierata scherzosa tra tre amiche musiciste: Julien Baker, Phoebe Bridgers, Lucy Dacus. Ridendo e scherzando sul concetto tutti maschi/tutti geni, emerge un po’ di frustrazione e poi rabbia, come donne e musiciste, verso il sessismo strisciante nel mondo della musica. Certo, anche le donne fanno cose, e vengono regolarmente chiuse in un recinto, quello del rock al femminile e delle female bands. Un boy ha valore di per sé, è un genio singolo, un individuo. Le donne nel rock sono le donne-nel-rock, personalità generiche in un’unica categoria o unico genere indistinto. Nello specifico, per la produzione delle tre singole artiste, viene spesso usata l’espressione sad music, musica triste. 

In una recente intervista per Pitchfork, Baker si lamenta del doppio standard: le donne che cantano di emozioni sono tristi, gli uomini cantano di emozioni, punto. Poco importano le differenze tra le tre: la portata della vocalità di Baker, che dal vivo ti fa vibrare le ossa e gli organi molli (link alla prima volta che l’ho vista dal vivo, qui aveva 21 anni), il sussurro delle ballate di Bridgers, che però tira fuori anche schitarrate e urla agghiaccianti, l’indie folk di Dacus, con piede su distorsore e pedale fuzz. Sono tre donne, suonano tutt’e tre la chitarra, è tutto uguale, women in rock!

Ma forse devo fare un passo indietro, dare un po’ di coordinate. Julien Baker nasce a BucoDiCulosTown in Tennessee, cresce in una famiglia profondamente religiosa, fa coming out come lesbica a 17 anni (andò bene). Testi molto intimi, fede, lotta, vergogna, dipendenze, disordine mentale, Dio. Non è una folksinger che bisbiglia, è estremamente intensa, emotiva, appunto. Lucy Dacus nasce a BucoDiCulosVille in Virginia, infanzia e adolescenza impregnate di educazione cristiana. Grande appassionata di letteratura e forte lettrice, testi così raffinati che mi ci immergo anche senza musica, hanno la musicalità della poesia. Ha una vocalità molto morbida, mi accarezza come velluto. Si definisce pansessuale o queer. Su Phoebe Bridgers, la più nota delle tre, spendo qualche parola in più. Mi sono chiesta come sia arrivata al successo attuale, considerando che il tipo di musica che suona è quella che sono abituata a vedere dal vivo in club che fanno sold out con 400 persone. È semplicemente successo quello che è accaduto a tantә piccolә artistә all’arrivo della pandemia: un’esplosione di visibilità online. Significativo, poi, che nei suoi testi parli spesso di depressione, relazioni, terapia, ansia, morte, lo schifo di mondo distopico in cui viviamo. Che effetto può avere «The End Is Near/The end is here», l’esplosivo catartico finale di canzone, su milioni di persone recluse in casa che si imbattono in I Know The End?

È un’artista indipendente che in quanto a presenze ai suoi concerti e follower su Instagram fa dieci volte tanto i numeri delle sue compagne di progetto. Un’artista sostenuta da Taylor Swift, che Billie Eilish invita sul palco a cantare un suo (di Bridgers) vecchio pezzo davanti a decine di migliaia di persone che fanno sing along. Va al Met Gala, sale invitata su palchi enormi. Arguta, simpatica nei suoi post sui social media quanto cupa, pessimista, irrisolta, onirica nei testi, si dichiara bisessuale o queer.

È importante calare le tre nel contesto storico, quello in cui è germinato il primo ep del 2018 e quello che è successo dopo, negli anni successivi. Hai vent’anni o poco più, sei queer, in due casi su tre vieni dalla profonda provincia della Bible Belt americana, o vieni da Los Angeles, ma cresci in una situazione familiare critica, con padre (odiato-amato-odiato di nuovo, nei testi) tossico e violento. Viene eletto Trump, esplode #MeToo, esplode #BlackLivesMatter. Hai poco più di vent’anni e lotti con le incertezze, le ansie, le contraddizioni di quell’età, tra autodistruzione e rabbia, nessun futuro. 

Le tre si incontrano nel 2016, in momenti diversi di tour condivisi. Baker e Dacus legano subito per via del background sudista e ultrareligioso e della passione smodata per la letteratura, nasce una lunga corrispondenza per email, nasce anche una cotta, cosa che ammetteranno soltanto in seguito. Baker presenta Bridgers a Dacus. L’incontro a tre è esplosivo. Libri, tanti libri, musica, risate, passioni. E rabbia, dicevamo. 

La collaborazione doveva limitarsi a un paio di pezzi, ma si incontrano, si tengono. «Siamo ossessionate l’una dall’altra. Mi sento meglio quando le ho intorno», dice Bridgers.

Giocano molto, da subito, a scombinare le carte. Irritate dalla riduzione delle peculiarità delle singole musiciste al concetto-calderone di women in rock, nelle interviste del 2018 ci tengono a ribadire con forza che questo è un progetto di donne, il disco è scritto da donne, prodotto da donne, suonato interamente da donne. Baker: «Non so chi leggerà queste parole, ma se c’è una ragazzina dodicenne che vuol mettere su una band, io dico semplicemente “Sì, cazzo. Più potere a te. Per favore fallo.”». [*]

La copertina dell’ep di esordio ricalca quella del disco di esordio di Crosby, Stills and Nash, come a dire al mondo: «Hey, ecco un altro supergruppo. Di donne, stavolta».

Giochetto che ripropongono, al rialzo, quest’anno, in una iconica foto promozionale per la copertina del numero dello scorso febbraio di Rolling Stone. L’intera serie di foto ripropone il setting dei Nirvana nel 1994. Dall’ep di esordio è passato qualche anno e sono anni che non sono stati normali per nessunǝ. 

Esplode una pandemia, gli States (e tanti altri pezzi di mondo) si fascistizzano sempre di più, progressivamente i singoli Stati Uniti prendono a calci i diritti di minoranze e minorità.

Nelle rispettive carriere soliste, Baker, Bridgers e Dacus hanno più volte preso posizione. Politicamente schierata, Bridgers – la più esposta mediaticamente, la meno introversa e più fuckity fuck del trio –  si esprime in più occasioni. In seguito alla morte di Elisabetta II, molto criticata è la sua condivisione su Instagram di un post di RISEindigenous: «Oggi piangiamo tutti gli affetti rubati, violati, traumatizzati, distrutti durante il regno di Elisabetta II». Ha preso più volte posizione contro Trump e la brutalità della polizia su persone afroamericane e indigene, per la libertà di aborto, i diritti riproduttivi e l’educazione sessuale, i diritti LGBTQIA+. Finanzia comunità e progetti Pro Choice e LGBTQIA+.

Dopo l’approvazione della legge texana del 2021 che mette al bando l’aborto, Dacus ha devoluto tutti gli incassi dei suoi show in Texas a fondi per la libertà di aborto.

the record esce il 31 marzo di quest’anno, dopo che la Corte suprema americana ha abolito il diritto costituzionale all’aborto, dopo che singoli Stati americani hanno iniziato a demolire i diritti di donne, popolazione LGBTQIA+ – Baker viene dal Tennessee e lì ancora vive, il Tennessee all’inizio dell’anno ha bandito gli spettacoli drag e vietato le cure ormonali e bloccanti della pubertà per ə minori trans*.

Julien: «Se tutta la sofferenza, tutto quello che i David Wojnarowiczes e Leslie Feinberg del mondo hanno fatto non mi avessero permesso di vivere in un mondo in cui posso essere irriducibilmente gay su un grande palco […] sarebbe stato tutto invano». [*]
Rispetto all’ep d’esordio, the record è più corale, continui a riconoscere le diverse mani e penne nei singoli brani, ma senti anche la forza della loro relazione, la conversazione, un incastro perfetto che diventa fusione in quello che io sento come il brano bandiera del disco. Dal punto di vista melodico, Not Strong Enough è il brano più Cure-esco (ma anche un po’ Pixies. Probabilmente qualcunǝ sentirà altre influenze, sono riconoscibili suoni dei ‘90) del disco, ha due strofe cantate singolarmente, un testo che parla anche di immobilità, incapacità, insicurezza, indecisione su una base musicale che sad non è.

boygenius – Not Strong Enough (official music video)
«Not strong enough to be your man 

I lied, I am
just lowering your expectations
(Non sono abbastanza forte da essere il tuo uomo
Ho mentito, lo sono,
sto soltanto abbassando le tue aspettative)

e cresce nell’acme finale introdotto da Dacus
Always an Angel Never a God»
Sempre un angelo, mai un Dio. Gli uomini come dèi, in cima alla gerarchia materiale, spirituale, di potere, le donne possono al massimo essere angeli, personale di supporto, subalterno, al servizio di.

I codici che boygenius usano per veicolare un grande messaggio di rivalsa, occupazione di spazio, cura sono vari, a partire dall’iniziale minuscola del nome. Vederle interagire, nei video come nelle interviste, riempie il cuore di gioia, c’è un volersi bene che mi trapassa, le loro risate diventano il mio sorriso. È la stessa cura che ho avuto il privilegio di vedere da vicino dal vivo in The Wild Hearts, un altro forte patto/legame tra tre donne (Julien Baker – anche qui – Sharon Van Etten, Angel Olsen), progetto che ha raccolto fondi per aiutare ex detenute a ricostruirsi una vita fuori dal carcere.
Per la promozione di the record, boygenius hanno giocato molto con i codici del gender, con richiami iconici e appropriazione performativa di una cultura pop che idolatra gli uomini e sminuisce costantemente le donne. Vedere Julien Baker – la cui divisa di ordinanza di solito prevede jeans skinny, t-shirts o camicia a scacchi, baseball cap, Dr. Martens – vestita di pizzo, tulle e organza (perdonerete i termini a caso, ne so poco di tessuti da femmine), truccata e con i boccoli, è vedere una Julien in drag.

Per boygenius – the film, un lungo videoclip, o un corto musicato, se preferite, hanno scelto come regista Kristen Stewart. the film si chiude con limoni di gruppo e abbracci nel lettone. Sono limoni e abbracci di cura. Cuddle puddle, coccolerie. Anche the record, come il primo ep, è un progetto interamente curato da donne, dalle musiciste di supporto che ci suonano (nel disco e nei live set) alla produzione. Sanno giocare con gli stilemi del gender, rimanendo sempre serie nel messaggio. Per annunciare il loro ingresso sul palco nella loro esibizione da headliner al Coachella di quest’anno hanno scelto The Boys Are Back in Town. Giocano, sì, ma non hanno perso occasione, in un contesto mainstream come quello del festival, di dire la loro. Dacus: «Non so se leggete le notizie e siete consapevoli di cosa stia succedendo in Florida, Missouri e in qualche altro posto, ma le vite trans* sono importanti, ə ragazzə trans* sono importanti. Noi combatteremo».

Scorrendo commenti vari che laggente dell’internèt lascia sotto i loro post o video, non stupisce che siano soprattutto i boys, i genius – che mi immagino a storcere il naso gnegnegnè picchiando sulla tastiera – a scrivere che questa è la band più sopravvalutata del pianeta.

A differenza delle singole produzioni indipendenti delle tre, the record è inciso per una major. Ci sono i soldi, c’è un investimento promozionale notevole: si possono permettere di giocare con gli stessi strumenti e tutto l’armamentario iconografico che fanno dei maschi le grandi rockstar. Nel frattempo, però, rosicchiano il patriarcato. Ci sono tre donne queer, legate da una comune passione letteraria – citano Joan Didion, James Baldwin, Carmen Maria Machado, per buttare giù qualche nome -, talentuose nel loro singolo percorso musicale, consapevoli di essere comunque delle privilegiate, nonostante siano donne in un mondo di culto dell’eroe maschio bianco genietto. Capitalismo, classe, razza, opportunità. Se vi hanno incuriosito, non troverete neanche una risposta banale a domande serie nelle interviste.

È un incontro prezioso, una conversazione speciale, una cura reciproca che i genietti maschi non possono neanche immaginare.

boygenius sono in tour in Europa l’estate prossima. Se volete, ci vediamo sottopalco a Berlino.

Immagine di copertina da rollingstone.com, immagini nel testo da ondarock.it e da npr.org