La quindicesima edizione di Gender Bender rende omaggio al motto di quest’anno, Lotta libera, proiettando un film sulla vita di Emily Dickinson, che della lotta alle costrizioni sociali aveva fatto una missione personale.
Nel 1800, ad Amherst, Massachussets, essere una donna diversa dalle altre non era poi così scontato. È forse questo che ha convinto il regista Terence Davies a mettere in scena la storia di Emily Dickinson, la quale, prima ancora di divenire una delle più grandi poetesse del XIX secolo, è stata una persona che non ha accettato di subire fino in fondo i limiti imposti dalla società al suo genere. “Temo che voi siate senza speranza” recita la madre superiora del collegio evangelizzante dove incontriamo in prima battuta la giovane Emily, impossibilitata a decidere chi seguire tra le donne che vogliono continuare a formare la loro istruzione nel convento e quelle che vogliono entrare nel mondo (e sposarsi), timorate di Dio.
Tornata nella casa familiare, forte del sostegno dei genitori, del fratello e della sorella, la giovane poetessa inizia a vivere una perfetta quotidianità, allontanandosi però quasi da subito dalla routine religiosa e scegliendo un rapporto più intimo con Dio e con la natura stessa. “Quando la notte è quasi terminata/ l’alba è tanto vicina/ che possiamo toccare gli spazi”, è allora, quando tutti dormono, che si può sentire il suono della poesia, ed è in quelle ore che Emily chiede al padre il permesso di scrivere, alla luce del caminetto e delle lampade ad olio, per non turbare la famiglia. Solo il primo di uno dei tanti atti di inopportuna spontaneità che ne caratterizzano la vita.
La pellicola procede irrequietamente lenta, con riprese statiche e scene che a volte giungono un po’ improvvise, senza l’accompagnamento degli eventi, incorniciate però da una bella fotografia. Un aspetto interessante è la costruzione della voce narrante che, tramite gli immortali versi di questa poetessa, racconta le passioni e le apprensioni di quel tempo (dai rapporti quotidiani alla guerra di secessione). Un altro punto di forza è senza dubbio l’interpretazione di Cynthia Nixon, la Miranda di Sex & the city, che rivela vette di espressività sufficienti a volte a riempire l’intera scena. Emblematica l’evoluzione caratteriale della protagonista che percorre il film, non si sa quanto attinente alla realtà: movendo da un’ingenua fedeltà a sé stessa ed una stoica fermezza circa il rifiuto delle imposizioni (entro certi limiti), Emily arriverà a maturare un atteggiamento duro e inflessibile, tanto che la sorella durante una lite la rimprovererà “Siamo tutti umani, non giudicarci per questo”.
Il film procede fino agli anni della reclusione, quando avvolta in abiti bianchi nelle grandi stanze della casa paterna, Emily proverà forse la più grande solitudine, scrivendo versi e rilegandoli a mano, lasciando che siano poi i posteri a trovarli e a renderli eterni.
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