Era uno stanco pomeriggio di doposcuola a casa dei miei nonni. La collezione di piatti blu della Royal Copenhagen — if you know, you know — ci guardava dalle pareti con la sua postura altezzosa da icona in ceramica. Eravamo lì in sala da pranzo, io e i miei nonni, seduti a bere il solito, lunghissimo caffè della moka, e in quel momento ho deciso: “Adesso glielo dico”.
Quando ho spiegato come mai rispondessi sempre di no ogni volta che mi chiedevano se avessi il morosetto, mia nonna ha reagito con una preoccupazione silenziosa ma profonda. Ha fatto un gran respiro, come per dire qualcosa, ma poi le sono venuti solo gli occhi lucidi. Non si è alzata, non ha cambiato discorso, non ha espresso disappunto. È rimasta lì ad ascoltare.
Quando finalmente è riuscita a parlare, mi ha detto che l’unica cosa che le dispiaceva davvero era che, secondo lei, non avrei potuto avere una famiglia. Lei ne ha avuta una grande: cinque figli e dodici nipoti.
Le ho detto di non preoccuparsi, che ci sono tanti modi per avere una famiglia. E che magari, un giorno, anche io ne avrei costruita una a modo mio.

Mio nonno, invece, è rimasto calmo. Mi ha guardata un momento e poi mi ha chiesto semplicemente: «E i tuoi genitori?». Gli ho spiegato che mia madre, in quel momento, era un po’ in difficoltà, anche lei preoccupata, anche lei un po’ spaesata. Proprio non le tornava che la sua bambina — collezionista instancabile di Barbie e Polly Pocket, convinta indossatrice di ombretto glitterato e lucidalabbra fino a poco tempo prima — non provasse alcuna attrazione per i maschi. Mi aveva persino proposto di andare in terapia, così, «per parlare con qualcuno».
Il nonno si è sistemato sulla poltrona e, con la sua r moscia alla parmigiana, mi ha detto: «In terapia non ci devi andare tu. Se proprio proprio fa fatica ad accettare la cosa, è lei quella che deve andare a parlare con qualcuno» e ha continuato borbottando qualcosa sui veri problemi della vita.Ecco, è andata più o meno così.
So di essere fortunata: da quel giorno sono cambiate molte cose. Ora mia madre è un’alleata silenziosa, ma presente. C’è, capisce, mi sostiene, e ogni tanto mi compra le spugne per i piatti a forma di arcobaleno.
Prima ancora che lei arrivasse a quel punto, sono stati loro, i miei nonni, a sorprendermi. Del tutto inaspettatamente, quel giorno mi hanno regalato qualcosa di raro per me in quegli anni: uno spazio tranquillo e sincero, in cui ho potuto dire chi ero, essere chi sono.
Perseguitaci