di Elisa Manici
L’immagine ritrae una bambina dalle trecce rosse, col viso sorridente, che indossa jeans, maglietta a righe bianche e azzurre, Adidas ai piedi. Regge, orgogliosa, la sua creazione fatta di mattoncini Lego. È una campagna pubblicitaria del 1981, quando i Lego erano un giocattolo per tutti i bambini, senza distinzioni.
2016: trentacinque anni dopo, anche i Lego sono stati sottoposti alla “genderizzazione” ossessiva che vuole le cose “da femmine” annegate nel rosa, ma soprattutto che ci siano nettissime distinzioni tra i ruoli maschili e quelli femminili. I giocattoli agiscono come rinforzo degli stereotipi di genere che vedono le donne solo come materni angeli del focolare o bambole supersexy. Nel caso dei Lego, abbiamo ad esempio la serie City, destinata ai bambini, con set quali la stazione di polizia, il treno, le navi per esplorazioni, e la serie Friends, per le bambine, con set per lo shopping, villette, saloni di bellezza e la pop star. Per non parlare della differenza nella fisionomia dei pupazzetti: da un lato gli “omini della Lego”, squadrati come sono sempre stati, dall’altro figurine specificamente femminili, con le curve “al posto giusto” e la gonna. Per non aggiungere che i set da bambina sono in media molto più semplici da montare.
È stato il capitalismo, non a caso tradizionalmente retto da maschi bianchi eterosessuali, la causa di questi sviluppi nel commercio dei giocattoli. Nell’infinita ricerca di nuove nicchie di mercato, anche i bambini sono diventati un target pubblicitario e, ovviamente, un gruppo di consumatori.
Se si escludono le micro-nicchie per ricchi dei negozi di giochi educativi, la realtà del mondo dei giocattoli mainstream è che il maschile è il neutro, i maschi hanno a disposizione una produzione più ampia, meno rigidamente legata all’azzurro e al ruolo. Sono i giocattoli per le femmine a essere connotati come diversi e a veicolare il modello estetico imperante, oltre a essere sempre e solo rosa. Lo stereotipo, in realtà, è la parte più esteriore della discriminazione, che concretamente avviene a livello socioeconomico. Questi giocattoli insegnano alle bambine la subalternità sociale ed economica, a essere relegate in un ruolo subalterno, senza ambizioni oltre i figli, la cura della casa, e avere un corpo perfetto.
La contraddizione tra il voler inseguire il cambiamento sociale e dell’immaginario e le decisioni conservatrici dei produttori di giocattoli, è esplosa con The force awakens, l’ultimo film della saga di Guerre stellari. Per la prima volta c’è una protagonista femminile, Rey, pilota e combattente che sarà al centro di tutti i film della nuova trilogia. Rey è quasi del tutto assente dal merchandising, caso unico di protagonista esclusa. Soltanto ora, dopo le proteste di molte bambine e donne, e dello stesso regista J.J. Abrams, le varie aziende stanno correndo ai ripari. Non hanno voluto rischiare: Star Wars è targettizzato come gioco da maschi, quindi, hanno presunto i produttori di giocattoli, non interessante per le femmine. Dando per scontato che un maschio non possa interessarsi a un personaggio femminile, qualunque siano le sue caratteristiche.
Le campagne per il cambiamento sembra siano per lo più relegate a collettivi e gruppi che, pur facendo un lavoro importantissimo, non riescono ad avere un’influenza decisiva nel mondo generalista. Questo non solo in Italia, ma in tutto il mondo occidentale. Un’eccezione di rilievo è costituita dalla campagna britannica Let toys be toys che, nel Regno Unito, ha già ottenuto un grande successo nel chiedere ai rivenditori “di smettere di limitare gli interessi dei bambini promuovendo alcuni giochi come adatti solo alle bambine e altri adatti solo per i bambini”. Quattordici grandi catene hanno dato loro ascolto e fatto modifiche sia nella produzione che nell’esposizione, eliminando molti steccati. La campagna si è ora estesa anche ai libri con l’hashtag #letbooksbebooks.
La prossima volta che dovrete fare un regalo a una bambina o a un bambino riflettete bene sulle implicazioni enormi che stanno dietro all’apparentemente innocuo acquisto di un gioco.
pubblicato sul numero 12 della Falla – febbraio 2016
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