Un viaggio genitale nella fluidità

di Irene Pasini

Quando ci apprestiamo a descrivere i diversi orientamenti sessuali e le miriadi di identità ed espressioni di genere, destreggiandoci tra parole complesse – nonché ai più ancora sconosciute – come agender, cisgender o demisessuale, e quando con precisione assoluta andiamo a spiegare tutte le teorie riguardanti il sesso biologico e le pratiche sessuali, lasciamo sempre una sottospecie di zona d’ombra, un ambito meno definito e paradossalmente non sviscerato a dovere ovvero l’attrazione verso specifici genitali, in particolare modo quelli esterni.

Siamo molto attenti a descrivere gli orientamenti sessuali come richiamo verso un determinato genere (e non sesso biologico), siamo precisi e puntuali nello spiegare quanto l’identità di genere non abbia niente a che fare con il sesso biologico di nascita, ma omettiamo però di domandarci quanto o se i genitali influenzino l’orientamento di una persona. Possiamo dire che un ragazzo gay, ad esempio, essendo affascinato dagli uomini, potrebbe essere attirato anche da un uomo trans; ma quanto è importante la presenza di un pene per l’attrazione fisica? Possiamo forse parlare di gusto o preferenza, come per il colore dei capelli o l’altezza? O semplicemente la nostra cultura ha vincolato il genitale al genere talmente in profondità da non farcelo nemmeno prendere in considerazione?

Eppure, già in Judith Butler possiamo leggere come l’associazione sesso/genere corrisponda a uno schema che si costruisce a partire da come nasciamo (maschi o femmine), come ci comportiamo (esteriormente) in base all’educazione e al ruolo conseguente che assumiamo nella società, come ci percepiamo (interiormente). È un processo (nascita/socializzazione/percezione) che ci sembra naturale, ma che è in verità una costrizione, una normalizzazione che fissa in modo rigidamente binario la nascita e la società, dividendo l’umanità in due secondo la logica bipolare-oppositiva che soffoca pulsioni e desideri.

In tutto ciò queer diviene la categoria della “in-differenza” sessuale, della neutralità e neutralizzazione che annulla ogni diversità nella mescolanza, dove scompaiono rigide classificazioni lasciando così il posto solo a sfumature variabili per grado e intensità. Nell’opera Gender Trouble, la studiosa arriva anche a parlare specificatamente dei genitali, evidenziando in che modo la sola esistenza delle persone intersessuali (individui i cui cromosomi sessuali, i genitali e/o i caratteri sessuali secondari non sono definibili come esclusivamente maschili o femminili) rappresenti una prova innegabile contro il sistema binario sin dal livello biologico.

Sulla stessa lunghezza d’onda, nel 1977, nel volume Elementi di critica omosessuale, Mario Mieli utilizzava il termine “pansessualità’”per descrivere come “l’essere umano sia sostanzialmente un essere completo (polimorfo), che nasce con tutte le opzioni aperte, le quali vengono poi represse selettivamente in base all’ambiente in cui vive.” Se dunque l’utilizzo del termine “pansessuale” in Mieli evidenzia la possibilità di non dover guardare al genere di una persona (e quindi tanto meno ai suoi genitali) per poter esserne attratti, la visibilità (seppur ancor non sufficiente) del tema intersessuale apre a tante varianti genitali o più in generale di sesso biologico, rompendo il binarismo m/f.

Dell’anno che abbiamo appena concluso ci rimane sicuramente una più ampia discussione dei diritti delle persone intersessuali e un’inclusione della pansessualità tra gli orientamenti sessuali possibili, ma poco e nulla di quell’apertura e fluidità che Mieli e Butler descrivevano. Invece di influenzare gli altri orientamenti, questa percezione di attrazione su livelli più distaccati dal piano fisico, dove nell’apprezzamento per la persona sesso e genere diventano insignificanti (e i genitali pure), è stata relegata a un altro piano di discussione, lasciando intaccati i confini delle identità sessuali meno fluide.

Ed è così che Yahoo Answer si riempie di domande disperate e confuse di ragazzi gay che, spaventati, si rendono conto di non trovare repellente la vagina o di lesbiche che si scoprono fortemente attratte da ragazze transessuali e dal loro corpo non per forza “conforme” all’idea sociale di femminilità. È così che crescono le battutine sulle presunta omosessualità di uomini famosi che tra le prostitute scelgono e preferiscono le donne trans. Sullo stesso livello, intanto, la nostra società è così cieca che di fronte a neonati sani, che presentano atipicità genitale, cerca di condurli tramite la medicina entro la dicotomia sesso-genere con interventi di chirurgia cosmetica non vitale e con percorsi farmacologici non necessari per la salute, ma volti a mascolinizzare o femminilizzare il neonato. Cosa c’è di così atavico nel nostro rapporto con i genitali che ci impedisce di scollegare anch’essi dai vincoli della divisione di genere? È davvero una questione di gusti, e quindi in quanto tale fondata comunque sugli stereotipi, o c’è qualcosa di più profondo?

pubblicato sul numero 21 della Falla – gennaio 2017