DISEGNARE UN MONDO SENZA MACHISMO

Fig. 1: I protagonisti di JoJo in JoJomenon (2012), Hirohiko Araki
Fig. 1: I protagonisti di JoJo in JoJomenon (2012), Hirohiko Araki

Ricordate quando eravamo tutt* più piccol*, il Covid non c’era e l’unico nostro impegno era guardare i cartoni animati su Italia 1? Tutto sembrava andare bene, ma in realtà così non era: il virus del machismo si aggirava in televisione in cerca di bambin* da influenzare. 

Ditemi: voi avete mai capito perché in Dragon Ball si perdessero gli ultimi cinque minuti della puntata e i primi cinque di quella successiva a osservare Goku mettersi in posa, gonfiare i muscoli e così strappare i vestiti (i miei occhi apprezzavano comunque) per poi urlare: «Onda energeticaaa»? Con la “a” finale che iniziava in un episodio e finiva nell’altro? In tutto questo c’è un modo canonico di esprimere la virilità: è più forte chi urla di più, è più forte chi ha i muscoli più grossi, è più forte chi prende una posa da duro. Dragon Ball è solo uno dei tanti manga e anime che propongono un ideale classico di mascolinità ma, per chi non si trovasse a suo agio con questa idea di uomo, per fortuna esiste una serie che disobbedisce alle regole del macho: JoJo. (fig. 1)

Le Bizzarre Avventure di JoJo di Hirohiko Araki è uno dei manga più longevi di sempre: è diviso in 8 serie antologiche, il cui protagonista è sempre, per un motivo o per l’altro, soprannominato JoJo. Pur essendo uno shonen come Dragon Ball, One Piece o Naruto (quindi pensato per un pubblico maschile), nel corso degli anni JoJo ha sempre sfidato la figura del maschio alfa. Nei primi tre archi narrativi, scritti negli anni d’oro del machismo (fine anni ‘80), i protagonisti erano uomini mastodontici, alti due metri e larghi come un armadio. Araki stesso ha detto di essere stato influenzato da altri manga degli anni ’80 che proponevano un tipo di virilità alla Sylvester Stallone, ma nonostante la possanza dei loro corpi, i protagonisti non assumevano mai atteggiamenti intimidatori, anzi: le pose in cui venivano raffigurati i personaggi erano particolarmente erotiche e femminili. 

Fig. 2: Guido Mista per la cover del volume 50 di Le Bizzarre Avventure di JoJo (Novembre 1996), Hirohiko Araki. A fianco Kate Moss fotografata da Richard Avedon per Versace (1996)
Fig. 2: Guido Mista per la cover del volume 50 di Le Bizzarre Avventure di JoJo (Novembre 1996), Hirohiko Araki. A fianco Kate Moss fotografata da Richard Avedon per Versace (1996)

Le pose di JoJo sono diventate iconiche: corpi seminudi, muscoli tesi in uno sforzo che sfida i limiti dell’anatomia, completamente diverse da quelle con cui i protagonisti degli altri shonen si preparano ad affrontare il nemico. Per di più queste pose non vengono assunte in preparazione a un combattimento, ma sono sparse all’interno della narrazione come semplici reazioni dei personaggi. Le JoJo poses nascono dalla passione di Araki per l’alta moda: nel manga vediamo dei ragazzi assumere le pose di Kate Moss, Naomi Campbell, Linda Evangelista. E non se ne fanno un problema: non hanno paura di risultare effemminati, deboli, gay. Sono flamboyant, sono queer ed è semplicemente il loro modo di essere. (fig. 2)

La queerness di JoJo la si nota anche nei vestiti: sin dall’inizio Araki si è mostrato affezionato a crop top e magliette attillate, ma dal quinto arco narrativo, il cui protagonista è l’aspirante boss mafioso Giorno Giovanna, i personaggi sembrano pronti per una catwalk. Gonne, harness, rossetti, la banda di Giorno non si lascia sfuggire nulla di quello che qualcuno chiamerebbe femminile ed è proprio da questa bizzarria che trae la sua forza. (fig. 3)

Fig. 3: Patricia Hartman fotografata da Javier Vallhonrat per British Vogue (1992). A fianco Risotto Nero in un’immagine del volume 58 di Le Bizzarre Avventure di JoJo (Giugno 1998), Hirohiko Araki
Fig. 3: Patricia Hartman fotografata da Javier Vallhonrat per British Vogue (1992). A fianco Risotto Nero in un’immagine del volume 58 di Le Bizzarre Avventure di JoJo (Giugno 1998), Hirohiko Araki

Nel corso di un’attività lunga più di 30 anni, Araki ha cambiato radicalmente il suo stile di disegno. Da un modello ipermascolino è passato a una rappresentazione sempre più fluida: nelle tavole più recenti i corpi maschili hanno occhi grandi, ciglia lunghe, labbra carnose e lo stesso vale per quelli femminili, prima disegnati senza particolare interesse. Questo ha portato molti fan a lamentarsi del fatto che tutti i personaggi avessero la stessa faccia, anche se per me è indice di un completo disinteresse per il binarismo di genere. Nei manga e negli anime mainstream il character design comporta delle strette regole da seguire per i generi: le ragazze hanno il viso rotondo e gli occhi grandi, i ragazzi il viso lungo e occhi stretti. Araki ha adottato una via di mezzo, pesantemente influenzato dall’arte rinascimentale e da Michelangelo in particolare, che invece di guardare al genere rappresentava i corpi in base a proporzioni geometriche. (fig.4)

Fig. 4: Josuke e Yasuho nel volume 1 di JoJolion (Dicembre 2011), Hirohiko Araki
Fig. 4: Josuke e Yasuho nel volume 1 di JoJolion (Dicembre 2011), Hirohiko Araki

Negli ultimi anni JoJo ha acquistato popolarità grazie alla serie anime e questo ha anche portato a delle critiche riguardo il comportamento dei suoi protagonisti: sia all’interno del fandom che fuori, JoJo viene etichettato come gay, anche se in realtà è molto più di questo. All’interno della storia ci sono alcune persone gay o bisessuali, ma tutt* sono l’opposto del macho: ridurre JoJo al termine gay significa reiterare stereotipi che permettono solo agli uomini gay di essere femminili. Piuttosto direi che JoJo è queer: è opera di un fumettista giapponese che, noncurante delle regole della mascolinità occidentale, ha deciso di reimmaginare i corpi maschili prendendo spunto dalla stessa arte occidentale. Nella sua sfida agli stereotipi di genere, per molt* l’opera di Araki può essere un utile strumento di decostruzione della mascolinità tossica, per poter essere bizzarramente se stess*.

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